giovedì 1 ottobre 2015

Tropico del cancro

Un vestito nero. Una sala prove. Il mio pesce congelato da maggio. Le sue carni puzzano.
Il mio copione. Elena e il suo quaderno. Li seduta a guardarmi e ad amarmi.
Regista lei, attrice e drammaturga di me stessa io.
Si è trasferita a Milano per un lavoro al teatro I che le avevo suggerito. E per me, noi. Per la compagnia. "Siamo solo io e te". Dice ridendo lei. E' abbastanza per essere una compagnia. Per i miei gusti.
E' così difficile incontrare qualcuno che risponda alla tua mancanza. Alla necessità di raggiungere quel mistero che non si colmerà mai. Infatti ci chiamiamo Misteria. Dal significante russo.
La sera prima siamo andate a vedere a teatro uno spettacolo. Non ci era piaciuto.
Siamo uscite nauseate e confortate allo stesso tempo. Confortate rispetto al nostro progetto, ma poi io mi sono persa: "Se questo è il teatro acclamato, premiato e criticato, che senso ha tutta la nostra ricerca?".
E così, io sono andata a casa e mi sono lasciata travolgere dal malessere e da questa impotenza. Lei invece, dormendo con la croce della chiesa di fronte la sua finestra, è tornata il giorno dopo alle prove piena di forza.
"Lisa, devi leggere il Tropico del Cancro di Miller".
Inizia così. Siamo tutte e due nella stessa situazione. In questo nostro perderci e nasconderci dietro a uomini. Di cui vogliamo prendere l'anima.
Come Camille Claudel. Come la Spillrein. Fantasmi che nascondono la nostra essenza.
Anche lei sofferente per la fine della storia con il suo scrittore e io in equilibrio sofferente con il mio pianista. Ma chi sono questi uomini?
Il suo la tradiva andando a trans e con altre pseudo artiste di un collettivo a Torino, e il mio ... beh.. il mio.. è già storia.
Ride. "Leggi il Tropico Lisanka, ti aiuterà. A me sta' aiutando".
Elena è russa. E' una presenza importante e rassicurante nella mia vita. Più giovane di me, ma già grande. Stiamo imparando tanto insieme. Abbiamo un'idea comune del teatro. E stiamo sperimentando la nostra umanità. Principalmente. Mai come in questo periodo il teatro e l'umano nel mio percorso si stanno toccando. Unendo. Confondendo. Amando.
"Chiediti perché fai la mala". Mi aveva detto Diego la sera prima. Lui non crede più. Magari non ha mai veramente creduto nell'arte o in questa idea dell'arte così sacra ed assoluta.
Gli avevo risposto con un: "E' un'urgenza.. un'esigenza..". In fondo non lo so perché la faccio. O non così bene.
Per me è come andare in bagno. Fare teatro e scrivere è come defecare senza problemi ogni giorno. Ecco, non è un'immagine santificante, sacra ed elevata, ma così è.
Anche l'amore non è poi così elevato. Anzi.
Non funzionano le prove. Sono troppo presa dalla mia emotività. Dal mio ego per buttarlo sul pubblico. Sono lì che piango e rotolo. Sbavo e piango ancora.. tutti liquidi che spargo sul linoleum.
"Lisa, cerchi compatimento.. perché? Sei troppo bella.. vai oltre.. cerca la tua bruttezza.. deformati".
E' sempre così. Il testo che esce da me si scontra con me. Ho paura della mala. Ho paura del mio stesso testo.
La data è il primo novembre. Devo sapere affrontare il dolore delle doglie.
Un'improvvisazione e la cosa si scioglie. Un po'.
Usciamo. Sono in totale paranoia. Cieca. Ancora cieca.
"Lisanka devi proteggerti da tutta questa emotività. Veicolarla". Non so neanche come sia proteggersi.
E' una lezione umana che mi manca.
Perché faccio la mala? Manca un mese. L'ultimo mese di gestazione e mi sento pesante. Mai come ora mi sono sentita madre e in relazione con la mia maternità.

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