lunedì 5 ottobre 2015

La mia normalità è la mia autenticità...

...E non è quella di mio padre.
"Non correre Annalisa". "Non mettere questo". "Non sta' bene questo".
"A me gli altri, l'altro non interessa. Me ne fotto dell'altro!!".
Lo dicevo alle medie, al liceo.. poi mi sono adeguata a suon di punizioni, reclusioni, soffocamenti.
Ma ero saggia. L'altro erano le paure di mio padre nell'avere tra le mani una forma informe che tendeva a trovare una forma autentica, magari anche brutta, ma autentica.
Ieri sera con Elena abbiamo lavorato la bruttezza della Mala. Sta' tentando di portarmi in un'autenticità che grida e lotta con questa Daurine normale e senza verità.
Le prove erano alle 19. Lei è arrivata un pochino dopo. Io urlavo in mezzo alla strada con Diego al telefono.
"Non ti permettere più di chiamarmi cretina o di dirmi quello che devo o non  devo fare! Quello che devo scrivere o meno!".
Sembra lo stesso copione.. lo stesso.. Come urlavo con mio padre, in casa..
"Avevo il vizio di sbattere le porte da bambina se qualcuno mi faceva arrabbiare.." dice ridendo Elena. E' una battuta della Mala.
"L'avevo rotta io.." continuo io..
Rompevo maniglie, cose... così faccio con lui. Con Diego.
Ma non "rompo" lui. Rompo cose. Oggetti. Mi sfogo su ciò che è inanimato. L'unica entità vivente ed animata che uccido è me stessa, parti di me.
Elena si gira una sigaretta. Ride e dice: "Lisa, ma quando lo lascerai?".
Lui fa sempre così. Mi allontano. Ci ritroviamo. Poi appena inizio a prendere il volo artisticamente o sente odore d'indipendenza, mi da' una zampata per buttarmi a terra.
"Alla fine lo hai idealizzato. E' un mediocre. Vuole una vita mediocre. Non potrà mai cambiare".
 Per un tempo è stato interessante, per la mia crescita. Ma ora. Ora non esiste niente d'interessante a livello affettivo se non... me.
C'è un universo sotto. Giù. Appena sopra la mia vagina, le mie ovaie, che nascondo. E' quella verità e autenticità che terrorizzava mio padre.
"Non dire quello che pensi". La negazione del sé.
Probabile che sia questo "Sé" laggiù. Tra la mia vagina e le mie ovaie a voler uscire.
Sono insicura. Piena di nevrosi e scivolo nell'autismo a volte.
Elena ride. Suresh si arrabbia e mi odia. Gli altri da me, mi vedono strana. Ho paura di tutto. Di me. Continuo a pensare di non valere niente. Distruggo ogni cosa che costruisco. Devo solo avere la fortuna d'incontrare qualcuno che mi ami più di me per non buttare via tutto o aspettare la fine.

E' domenica sera. L'ultima nello spazio di Giacomo. Stiamo provando nel suo spazio da una settimana. L'ho trovato grazie ai ragazzi di IT Festival. Lo spazio è carino. Ci sono due pianoforti. E il suo studio con scritto "Private", ma siamo entrate io ed Elena. Come due bambine. Un mondo a sé.
Giacomo è un insegnante dell' Accademia di Brera.
Ci siamo innamorate del suo spazio. Ci sono scatoloni con alcuni libri scritti da lui: "Gli uomini non possono essere violentati".
E poi un altro libretto che nasce come rilettura della Tosca. M'incuriosisce. Ha gli occhi blu. Avrà quasi cinquant'anni. Forse è più giovane di Diego.
Io ed Elena siamo alla ricerca di uno spazio. Una compagnia di Sesto ci ha proposto di condividere a 250 euro lo spazio con loro. Ma a me non piace molto. Neanche ad Elena.. Sembra un po' un crocevia di arte al chilo. Troppa gente.. corsi di kapoeira, yoga, concerti rock per rianimare il quartiere e teatro sociale. Che cacchio è il teatro sociale? Sono diventata intollerante ad ogni forma politica e psicologica dell'arte. L'arte e arte. Non c'è politica o psicologia. Ma solo bisogno ed esigenza di...
Spiegherà chi non sa amare. Per proteggersi.
Palesiamo a Giacomo il nostro desiderio di restare a provare nel suo spazio e condividere con lui l'affitto, ma non è aperto. Ha paure. Si segna in agenda. Scrive sul tablet.
Elena voleva sedurlo, ma io avevo capito subito fosse gay. Eppure ha quella sensibilità artistica che mi fa capire che quello, il suo spazio è il posto giusto.
Ma vuole troppi soldi per condividere un affitto. Gli scrivo che per noi è troppo.
Due giorni dopo mi risponde dispiaciuto. E mi chiede di poter assistere ad una prova. Si presenta questa sera. "Esco dal cinema e vengo a vedervi".
Io sto' provando con la mia collana. L'orata è solo un pesce finto ora. Perché quello vero ormai puzza troppo e non riesco ad entrare in sintonia con lui, sin nell'osceno.
Così inizio.. Giacomo si siede e mi guarda. Anche Elena. La mia bruttezza in scena va oltre le parole. Ma le parole sono ancora così forti.. M'interrompo. "Scusa Giacomo, ma sto' cercando ancora..".
Lui si toglie le scarpe e si mette al centro e mi fa vedere due cose che potrebbero cambiare. Con tatto poi mi dice: "Ma il testo di chi è?".
"Mio!" rispondo con orgoglio..
"Molto bello", dice. E poi si apre. Dice che sta' per diventare padre. Con il suo compagno. Che la madre è un utero in affitto. Un utero americano. E i gemelli stanno per nascere a novembre. Come nella mia storia. Prematuri. Pare nascano prematuri. Come la mia mala.
Nel mio testo parlo del mare nero.. di maternità, d'infanzia e di una diversità. O di una normalità che tenta di essere autentica anche se non risponde alle regole.
E Giacomo ha gli occhi rossi. Anche se la mia interpretazione non è ancora perfetta, lui ha colto. Si è ritrovato. In tutto quel mare, in quel novembre imminente, in quella violenza. Che forse è stata anche la sua.
"Ragazze, io vorrei non perdervi. Mi piacerebbe avervi qui e che continuaste qui il vostro progetto.. quindi ve lo lascio al prezzo che riuscite a pagare. A me fa piacere che qui resti l'arte".
Ci abbracciamo. Ci siamo capiti o trovati. Ci augura buon lavoro e se ne va con garbo e gentilezza.
Mangio due pesche di fila. E mi fa male lo stomaco.
"Lisa, vedi... ma smettila di dirti che non sai fare.. di giustificarti... di non riconoscere la tua propria forza.. siamo state brave. A lui è piaciuto il lavoro. Ha sentito un'onestà.. ".
Si sono contenta. Usciamo. Divento ansiosa.
Accompagno Elena a casa. E prima di lasciarla penso: "Ma c'è il riscaldamento nello spazio?". Elena ride.
Ma io torno allo spazio e controllo tutti i termosifoni. Nella mia nevrosi. Controllo tutto. E non c'è niente che non va. Quel luogo è perfetto. Giacomo lo è. Elena è la persona giusta.
Non ho più scuse per abbracciare la mia normalità che è la mia autenticità.
Che non è quella di mio padre...


Nessun commento:

Posta un commento