martedì 27 gennaio 2015

Un viaggio umano

E' domenica sera e sento il peso di tre giorni di vita.
Eppure sono stata chiusa nello spazio delle Scimmie Nude. Con altre dodici persone e Mimmo. Non li conoscevo tutti. Solo alcuni. Claudia, Andrea, Giovanni, Davide e Riccardo. E alla fine i loro nomi sono come quelli di una grande famiglia. Barbara, Sandra, Christian, Agnese riccia e Agnese liscia.. Avevo il desiderio di conoscere il lavoro di Mimmo dopo averlo visto al Piccolo. Più per il mio desiderio di scrivere di umanità e di/per il teatro che non per la mia attorialità che ricercava l'esperienza. Poi ho trovato ancora altro. Qualcosa in cui ho riconosciuto amore.
Cercavo la parola che facesse tacere il corpo.  
C'era una sete di conoscenza e amore. Che ha questa forma rappresentativa. O la forma di qualcosa che non si può dire fino in fondo. Tantomeno spiegare.
Sono giorni così strani e complessi. Dove ci sono ritorni. Mr D. che si ostina ad essere Mr D. e a pretendere che io riduca la mia vita ai suoi vizi per assecondare il suo desiderio di non vita. E il mio Othello. Bello e in attesa. Per colpa mia. Anche. Forse perché sa che dai miei occhi può prendere quello che non sa. Forse per questo resta in attesa.
E poi ci sono io che da un uomo non so più bene cosa voglio. Forse una mano che mi accompagni e mi comprenda.
Perché in questa cosa che la coppia sia fatta di casa, quattro mura e ricette, non ci credo più. Forse non ci ho mai creduto. O non mi è mai bastato. Ho provato ad adattarmi a quell'idea di coppia, come se in quelle azioni potesse esserci la fedeltà o la felicità. Anche se credo di essere stata felice poche volte nella mia vita. Forse qualche minuto, una volta, sotto un ombrellino. Per citare Cecov.
Il resto sono state solo azioni vuote. Forse necessarie, ma non essenziali alla mia riconoscibilità di donna.
Mi chiedo cosa vogliano da me uomini come Mr D.  e Othello anche. Sono distante.
E chissà cos'ha voluto quel tipo che ho chiamato Ragazzo. E' tutto così lontano eppure presente nelle parole di questo blog. Che ha cambiato forma, presenza e verità.
Ho incontrato solo egoismi. Mr D. Ragazzo. Othello è l'unico che ha toccato il mio percorso con sincerità.
Ma Mr D. non sa neanche chi io sia nel profondo. Prende stando fermo. Come  fece Ragazzo. In modalità diverse. Con la complicità dei miei limiti umani.
Sono stata su un piedistallo per un vigliacco incompleto che aveva solo quella modalità per buttare via qualcosa di "troppo" o ormai inutile.
La "piccola troia" per un uomo che usa la parola amore solo quando ha il pene duro.
E in tutto questo l'amore semplice tra le dita scure di Othello. Che tocca la mia pelle senza sapere quale suono possa avere.

E poi c'è stata una relazione con John. A cui ho voluto molto bene e a cui ne voglio quando riesce a diventare Giovanni incontrandomi dove esiste di più la mia vita. Ma non riesco a perdonare. Non riesco ancora a perdonargli la leggerezza di non avere difeso e protetto il teatro che aveva costruito con me. Il percorso. E' il mio limite umano. La mia fragilità.
C'era una responsabilità a cui è venuto meno.

Sono tante le domande dopo tre giorni. Sull' umano. Può solo una donna che ama cucinare e lavare e stirare e riordinare casa, essere adatta a procreare? E meritare la maternità? Perché per tanti uomini è così.
Ho visto l'attrice delle scimmie piangere senza poter controllare l'emozione durante il suo monologo della regina, tratto dall' Amleto. E per un attore non poter controllare l'emozione in scena è un problema.
Mimmo l'ha fatta lavorare sulla maternità. Che è il suo punto dolente. La sua fragilità umana in questo momento. Perché vorrebbe, ma non può. Perché è un'attrice e ci sono uomini che non glielo permottono. C'è un maschile che non comprende che non esiste divisione. Che è violento non comprendere la diversità e l'infinita complessità del femminile. 

Tre giorni di teatro. Di ricerca dell'umano. La mia cieca è stata difficile. Ho portato un testo che non mi permettesse di attaccarmi a tutto ciò che teatralmente mi torna semplice. Che non fosse comico, ma tremendamente intimo e statico.
Mi ha resa cieca in scena. E in questo stare in una percezione al buio che fosse credibile, ho incontrato la verità dei miei fantasmi.
E' stato un girotondo di umanità. E di belle persone. C'era tanta luce e amore. Disciplina e amore. E nessuna di quelle persone ha voluto usare il mio corpo per soddisfarsi.
Come ha fatto Mr D.sere fa. Stavo scherzando con lui sulla musica dei Village People. Mi ha presa e scossa. E' entrato con forza nel mio ano. E ho urlato dal dolore. E nel mio pianto che cercava un abbraccio e una parola, ho trovato un ricordo. Ne avrei voluto parlare. In quel dolore forte ho rivissuto il buio che non ho mai voluto raccontare a John.
E' in quel bruciore che ho perso me stessa. La parola. E sono diventata altro. Mr D. si è comportato uguale. Piangevo e chiedevo aiuto. Da bambina, ma anche giorni fa.
Mi ha chiesto scusa e " Sembrava che volessi e fosse un invito". E mi sono sentita così colpevole. Ancora. Tanto che mi è sembrato normale continuare a soddisfarlo.
Poi ha portato il cane in strada e io sono rimasta con il mio bruciore. Fuori e dentro. Senza una carezza e senza amore.

Domenica sera sono circondata di luce. Mi metto a piangere alla fine. Per l'umiltà e la semplicità. E perché mi sento piena.
Saluto Mimmo e tutti i miei compagni di viaggio. E' tardi. Sono quasi le 23. Saluto Davide e Riccardo. Davide mi aveva abbracciata mentre guardavamo un'improvvisazione, con una delicatezza che sapeva di condivisione fondante.
Mi avvio verso l'auto. Sono al telefono con Othello. Vuole sapere del mio seminario. Non mi accorgo di quattro tipi che mi seguono. Li sento e mi spavento un po'. Ma non corro. Penso che sarebbe peggio. Ma ho paura. Poi sento che si tranquillizzano mentre m'infilo nella stradina dove ho messo l'auto. Mi giro e vedo i quattro scappare. Poi spunta Davide che si accende una sigaretta. E poi Riccardo. Mi sorridono entrambi. E mi salutano.

Appena arrivo a casa mi scrive Riccardo: "Non parcheggiare più lì. O fatti accompagnare. Quei tipi ti seguivano. Ce ne siamo accorti io e Davide e ti siamo venuti dietro".

Rivedo la scena e capisco.. Lo ringrazio. E mi riviene in mente una delle sere che non dimenticherò mai. A Barcellona, in piena estate. Io e Pepe eravamo in giro. Era tardi. Non avevamo la macchina o un altro mezzo. Volevo rientrare in metro e lui volle a tutti i costi prendere un taxi.
Mi arrabbiai perché non capivo. Eravamo giovanissimi e senza soldi.
Lui sotto casa mi abbracciò e mi disse: " Abito in una zona pericolosa. Se ti succedesse qualcosa, non potrei più vivere. Non posso permettere che qualcuno ti faccia del male".
Mi sentii così amata.
Come domenica sera. E per il teatro. O la magia del teatro. E di questo umano che mi ha spaventata per anni. Che è un casino. Un immenso e affascinante casino.  E quando guardi l'umano, devi per forza reagire.

Nessun commento:

Posta un commento