mercoledì 31 dicembre 2014

Il Bacio dell' Arte

"Passo domani a farti le condoglianze e darti un abbraccio. Non sono riuscita a venire al funerale per il lavoro. Periodo di lotta di nuovo".
Domenica di prove alle Scimmie e Teatro Danza per liberare sempre più il mio corpo in scena in modo che diventi un tutt'uno con la mia anima. L'attore rappresenta con il corpo tutto ciò che con le parole non è rappresentabile.
Gli attori di parola sono morti. Forse non sono mai vissuti o sono stati lo specchio di una non vita. O di un'umanità che non aveva voglia di coinvolgersi più di tanto.
Eppure io ho sempre rappresentato con la parola. Anzi, no. Ho scritto e basta. Ero quella cosa che in teatro chiamano "dramaturg". Oppure nella versione di pura "scrittrice". Senza avere il riconoscimento per poterlo fare.
Mi avevano definita così a dodici anni. Ho ritrovato l'articolo del mio racconto. Avevo vinto un premio alle medie, nella mia città. E il racconto era gotico. Fantascienza e morte.
Non lo avrebbe mai scritto una bambina di quell'età. Non una felice. O una "normale". Ero dark e mi sentivo inadeguata. O strana.
Anche adesso mi sento tale. 

Divisa. Forse su una strada in cui la parola scorre nel mio corpo. E poi nella voce. Perché c'è anche il canto. Devo riunire i puzzles di una me che è nata. Perché sia ferma nella sua complessità e possa permettersi di vivere quel che resta in una pienezza.
Sono quasi vicina alla consapevolezza che ho solo io il potere di vivere e non di esistere.
E' iniziato nello studio di John il mio percorso. Arrivavo in via cagliero con le mie borse dello sport. E ogni tanto Pepe dietro che non capiva perché quella ragazza dolce e forte e senza desideri per se stessa, piangesse sempre e si rotolasse dal dolore alle ovaie.
Piangevo in continuazione. Non mi piaceva lo studio di via cagliero. Era vicino casa. L'avevo scelto per quello. Solo per quello. Ed ero disperata perché non sapevo cosa stesse succedendo al mio corpo.
A distanza di quasi dieci anni, sono io che vado nello studio di John, un altro luogo, e non per fare analisi, ma per portargli "un abbraccio". L'ho definito così nella mia modalità di attrice.
Per essere felici, basterebbe vivere. Come mio nipote. Vive ogni attimo essendo se stesso. Ma ha solo nove mesi. Eppure è felice. Invece ci accontentiamo di esistere. Non implica nessuna fatica esistere. Vivere invece comporta.. tutto.
Chissà che non sia il teatro l'unica vera vita.. Lì devo vivere e non limitarmi. Il rischio sarebbe fare scappare annoiato il pubblico. Che a teatro viene a vedere se stesso.

Mi siedo nello studio di John. Come fanno i pazienti. Come ho fatto per anni. Prima del taglio deciso da me, ma messo in atto dall'incapacità di amare. Solo la mia? Quella di chi ho permesso di entrare nella mia vita? Di chi in nome della razionalità della paura tenta di decifrare il mondo.
Non parlo molto. Sento il dolore. Il cambiamento. La perdita. Il disagio e lo sforzo per non piangere.
Così come si fa in questi casi, parlo del teatro e della passione che ci lega.
"E' come una droga il teatro" mi dice John. Si. Certo. Io non sono molto diversa da Mr D. e dalle persone con dipendenze che mi hanno cercata.
Ho la stessa fame ed energia. O ansia. Solo che poco a poco ho imparato a farmi di arte. Teatro. Musica. Scrittura. Ma il teatro racchiude tutto. Anche il corpo.
Gli racconto anche di Mr D. Dopo la morte del padre c'è un tentativo di cambiamento. Da parte sua.
E racconto del mio compleanno. Della cena in un ristorante di pesce raffinato. Del regalo. Soldi.
Poca cosa per lui ora.
Ero in difficoltà e lo sapeva. "Mi ha dato dei soldi. Li ha ritirati e messi nella mia borsa". Tanti soldi per me. Che ho tentato di rifiutare, ma "Posso avere il diritto di farti un regalo?".
John mi segue. Un po'. "Non sono andata a letto con lui. Mi ha portata a casa e ci siamo baciati. Poi ora dobbiamo riprendere a lavorare insieme".
Preferisco tenere il bacio dell'arte e non rischiare di rovinare ancora. In qualche modo John è tranquillo. Poi parliamo della mia analisi. E tento di segnare un appuntamento a cui non andrò.
Esco e gli do' un abbraccio con lo sguardo.

Non ho detto a John che quella sera Mr D. mi ha mandato una foto. Una foto vecchia che ci eravamo fatti.
Io l'ho rivisitata con un programmino e rispedita a lui come fosse un quadro.
"Il Bacio dell' Arte". Magari ora riusciamo ad incontrarci in quello come Annalisa e Diego.
Da quella sera e da quel manifesto, sono successe altre cose. Liti e collaborazioni. Il suo concerto al teatro Leonardo.
La nostra notte insieme. Dice che mi ama. Che non può pensare di raggiungersi se non con me. Ed io con lui?
Pongo resistenze e paure. Anche di fronte al figlio che vuole da me. Saprà amarmi per la donna che sono?
"Caro Diego, la mia artisticità rientra nel mio modo di essere donna e di amare. Non è biologico e tantomeno naturale per me fingere e dividere. La musica o il teatro mi fanno amare meglio. Io sono questo. E voglio continuare a credere che ciò che ci fa stare qui sia ancora e solo quella scintilla di Dio che ci fa correre e protendere all'infinito come due rette parallele. La chiamo arte.
Credo che solo per questo legame profondo, io non smetterò mai di amarti".