mercoledì 19 novembre 2014

La valigia dell'attore

"Riuscireste a dire chi siete? ". E' Gaddo. Il mio maestro alle Scimmie Nude.
Ho sempre pensato fosse geniale nella sua fragile umanità. Nel suo approccio al teatro. E fondamentalmente onesto anche in una brutalità. A volte.
E' una qualità, questa dell'onestà, difficile da trovare. Ne ho incontrate poche di persone così. Il più delle volte sono quelle più difficili. Stanno soli. Perché si bastano. Forse. O perché non riescono ad incontrare qualcun altro di altrettanto libero con cui condividere sensi forti. Oltre il bisogno e il compromesso della necessità.
Ieri sera c'era anche John alle Scimmie. In questo scambio artistico. Nella mia ingenua umiltà o nella mia umiltà ingenua, ho sempre pensato che il teatro, quello delle Scimmie, fosse il completamento del suo lavoro. E magari la spada che eliminasse per sempre il muro della razionalità intellettuale, della psicanalisi troppo "dentro" e poco espressa nel corpo perché possa risultare vera ed "assunta". Ai cieli? Ai cieli dell'infinito dell'essere umano.

Non sono arrabbiata con lui. Con Giovanni. Non più. Ma non riesco ad andare in analisi. Per ora. Il non detto si è trasformato in un tappeto d'alghe. Giù in basso. Come se non appartenesse a nessuno. Se non alla mia paura. Alle mie paure.
Di fatto io non vado più. Ma sento le alghe che mi solleticano i piedi. Ogni notte. Avevo paura di loro al mare. All' Isola Palmaria stavano sotto di me. Una macchia nera che m'impauriva da bambina. Eppure necessarie.
La paura lo è. Oltre quella ci siamo noi. Parti di noi. Esiste per spingerci sempre più al largo.

"Perché siete qui? Perché fate teatro?". E' la domanda. L'altra a cui ho una risposta. Ora. Dopo tanti anni.
Alla prima, a chi io sia, non so rispondere. E' racchiusa nella seconda. Faccio teatro per sapere chi sono o poter vivere tutto quello che sono e che non sono. Per poter vivere le infinite donne che vivono dentro di me. Non sono una. Ci sono più voci. Più occhi. Più cuori. Donne più buone. Più dolci. Più perfide. Più erotiche e perverse. Diverse. Diverse. Tutte diverse. E devo farle uscire. Per una necessità. Devo dar loro una forma. Il teatro mi permette di guardarle con simpatia. Di non essere in mano loro. Anche quando scrivo succede la stessa cosa. Escono da me infinite forme. Anche esseri informi. Che partorisco e riconosco o no, in una maternità che non ha fine. Non ha fine.
Non so dire chi sono. Un'attrice? Sono il padre e la figlia. L'amante, la sciantosa. Che lascia la sua vita di là. In un bagno squallido per darmi a chi vuole vedere attraverso di me. Per poco. Per fare calare il sipario sulla mia vita. Che tanto pulita non è.
Non c'è foto sul mio documento d'identità. Ma esisto. Nella mia umanità. M'inchino ripetutamente e ringrazio infinitamente chi vuole scambiare la sua essenza nella mia, con la mia. Io sono tutto e nessuno.
Una grande famiglia..


..che si perderà. O si spengerà. O trasformerà.
Faccio teatro perché mi permette di entrare nel mistero della vita, dell'essenza dell'essere umano.
Non so definire chi io sia. Ho sempre avuto problemi nel redarre un curriculum. Di fatto ne ho 3 o 4. Uno come business analyst. Un altro come attrice. Uno come cantante.. Uno emergente come autrice.
Io sono uno, nessuno o centomila.. tutti chiusi nella valigia dell'attore.


mercoledì 5 novembre 2014

Le riserve



"Nulla di quel che vivo di reale mi soddisfa, ma sono incuriosita da te”. 
Non posso continuare a vivere nella sua testa. Non è etico.
Eppure vado avanti da più di un anno così. La sera, qualsiasi sia l'ora, mi connetto e divento Andrea. Un uomo. In teatro sarebbe più semplice. Ancora più semplice. Mi basterebbe mettere un costume e usare l'energia maschile. Basta quella e avrei una mia fisicità. Qui è tutto affidato alla parola. E' così difficile anche solo rendere in azioni e scrivere la mia storia con Marie.
A te capita di porti delle domande e non riuscire a rispondere anche se sei padrone dell'argomento?”.
Si Marie. Certo. Sempre”. Costantemente. Vado in macchina e sbatto in continuazione come Eliza. Le domande mi balzano sul volante, entrano in testa e scivolano davanti agli occhi. Saracinesca giù. Buio. Buuuuuuuum!! Ho finito i fogli della constatazione amichevole a forza di tamponamenti.
Non glielo dico alla mia fidanzata virtuale. Viviamo vicini. No, vicine. No, vicini. Perché se penso a lei, io penso a lei con il cuore di un uomo. E l'energia di un uomo. Vorrei tanto poter essere Andrea. Esistere in quel corpo da attore.
Invece sono Eliza. Con la z di Zorro. Perché in qualche modo dovevo lasciare il segno come Zorro nella vita. Invece i segni sono sulla mia auto, sulle mie ginocchia che cadono e si scontrono con l'asfalto della vita. Nei lividi delle mie cosce che ha lasciato lui, l'uomo che era anche di lei. Il maschile che mi ha portata a tradire il patto della fiducia con la mia anima. E dell'altro. Dell'altra me. Delle infinite altre di me.
Stasera ho imparato una cosa da me stessa.. Chissà quanti bicchieri di vino avevo bevuto :)) “ .
Rispondo con un “ :) “. Io che sono sempre stata la nazista dell'ortografia. Odio le emoticons e il nuovo linguaggio “giovane” e “facile” di un mondo che non comunica e non si tocca più in un'apparente abbraccio ed orgasmo di sesso impenetrante.
E cos'hai capito di te stessa?”. Lei non risponde. Ogni tanto accade che questa relazione abbia tempi, silenzi e spazi indefiniti. Nuovi ed accettati da entrambi. Entrambe? Oh com'è difficile definire il genere.. Eppure come ho imparato bene ad essere di genere maschile in ogni parola e declinazione del mio essere descrittivo.
Mi sono adattato a chiudermi in una “o” per apprezzare meglio l'apertura della mia “a” femminile. Come il grido di piacere di un mio orgasmo. Sempre aperto nel vocalizzo.
Gli uomini che ho avuto, si sono sempre chiusi nella loro egoistica “o”.
Allora ora mi permetto i miei tempi comodi. Dall'altra parte ho un'interlocutrice che conosco e mi fa godere di più nel suo femminile accogliente.
I nostri tempi comodi di risposta. Ho il tempo per sdoppiarmi, scindermi e riprendermi senza mai capire in fondo chi io sia.
Mi dirai dopo allora. Vado a mangiare qualcosina e poi torno. Sono un po' malinconico oggi”. Oddio sempre. Lo sono sempre. Come Eliza e anche come Andrea. Nell' illusione di un maschile che rincorro con un costume da Supermaxieroe, sono pur sempre io. Sono pur sempre io? Io chi?
Nella mia anima irrequieta e desiderante di non so bene ancora cosa. Un senso?
Aggiungo: “Ho quella strana sensazione di essere un po' in alta marea..”. Attesa del suo silenzio. “Spero di ritrovarti”.
Quello che ho detto al mio amico : il nostro disagio mentale o comportamentale... è sempre frutto di un disagio dell'anima.. ed il disagio dell'anima non va sottovalutato.. ti aspetto dopo la tua cena”. Dice lei.
Scrive “Anima”. E' colpa mia se ne parla dopo un anno e mezzo di dialoghi sfinenti, illuminanti. Maratone della e nella notte in cui leggevo di lei tentando di leggere di lui. Alla fine ho letto di me.
L'anima. Cristo santo.. è il centro del nostro universo composto di parole. Le ho pure fatto comprare “Il codice dell'anima” di James Hillman. E non le è piaciuto. E come potrebbe? Tento di trasformarla in una parte di me perché esista. Perché esista io dentro di lei non potendola penetrare con il mio corpo. Perché non posso? Perché non posso. Non ho un “sesso” maschile tra le mie gambe. Anche se parlo e faccio credere di averne uno, potente, pregnante e diverso.
Anche se mi percepisce uomo. Dice: “Si capisce benissimo che sei uomo da come scrivi. Sei scemo!”.
Certo. Invece la scrittura non ha sesso. E' androgina. E' l'unica forma vivente che possa permettersi di esistere libera e senza sesso o confini o lotte intestine e intestinali!
E se lei.. se lei mi amasse solo perché pensa che io abbia in realtà, solo perché m'immagina con un fallo tra le gambre? Magari uno più femminile e creativo di quelli che ho incontrato io. Che parlavano perché gli davo un nome, una vita per essere meno brutali del primo che mi ha paralizzato e destinata ad una caduta perenne.
L'elevazione di una me dall'alto. Sono qui, ma è come se non fossi qui. Anche mentre scrivo. Mentre corro e medito a mio modo il mio significato su questa terra. Come se calpestassi qualcosa che non mi appartiene.. mentre corro con le Saucony Jazz. E la musica scelta così a modo che quasi credo di non essere io. Di non essere più io.
Forse non lo sono mai anche se credo di esserlo. Andrea non è più falso di Eliza o delle infinite maschere che mettiamo e togliamo. Maschere che nascondono la nostra morte. Ora dopo ora. Secondo dopo secondo.
Andrea, non sei più verde!!”. E' Marie che interrompe il flusso dell'inconscio.
Se non sono verde, vuol dire che ci sono, ma sono nascosto”. Non ha capito. Non ha ancora capito che esistiamo su codici e forme diverse. Che esisto in una novità. In un tentativo di costruzione e decostruzione del mio genere, del suo, della mia sessualità incastrante, impenetrante e non amante dell'amore.
Non ha capito che ci amiamo e percepiamo in un nuovo linguaggio?
Se solo la smettesse di ostinarsi ad amare le sue antiche paure..

domenica 2 novembre 2014

Finisce solo quello che non era

In questa difficoltà di scrivere, di cambi di direzione, di nuovi percorsi e nuovi personaggi, mi ritrovo a combattere con i dolori alle mie ovaie. Ancora una volta. Mi tagliano le gambe. Mi costringono a stare in casa e a rimandare appuntamenti. Sangue ancora.
Se ne sono andate tante persone e ne ho incrociate tante. Molte vuote. Mi ritrovo a scrivermi con Gian Paolo spesso. Fassbinder riceve. Archivia i miei pensieri e i miei sensi di colpa.
Ora che ho deciso d'interrompere un'analisi inquinata nella sua purezza da anime incomplete, mi ritrovo ad analizzare la donna che sta' per nascere. Da sola. Da donna a donna. Ce ne sono due nel nome apparente. E infinite nella mia anima e animalità d'attrice. Atleta e dinamica dello stile di vita.
Sono ancora presente alle chiamate di Mr D. Anche se a frangenti invia i soliti inviti che percepisco ancora uguali alla sua modalità di "sesso e un po' d'amore". Non ho ben chiaro cosa voglia da me di preciso e in che presenza. Eppure resto per la sofferenza e il dolore della perdita di un padre così penetrante, potente, severo, importante e schiacciante. E per un bene che gli voglio.
Io mio padre l'ho riammesso perché ho perdonato me stessa. In parte. Non del tutto. C'è ancora qualcosa che desidera distruggere quella bambina che si è data per non essere uccisa.
Mr D. no. Si ostina ad essere Mr D. ancora. Non voglio più essere complice di anime autodistruttive. Tantomeno salvarle nel tentativo di salvare me. Esistono uomini migliori. Li ho conosciuti. Molti sono più giovani di me. E non c'è anagrafica che tenga alla purezza dell'amore.
Lo sosterrò finché potrò. La violenza non ha età. Come l'amore.
Dialogavo con Gian Paolo ieri. Parlavamo di violenza. Dei miei incontri. Dell'ultimo cuore fragile che probabilmente cuore fragile non è. Ho sbagliato a determinarlo. Di fatto ora non ne scrivo più. Finisce solo quello che non era.
Ne ho riparlato con Fassbinder perché ha pubblicato un post sul suo blog in cui c'è un pensiero di questa persona.
Restano le mie domande su quell'incontro. Domande legate alla violenza. Per me. Perché ho dato fiducia alla bontà del suo desiderio per subirne l'assenza. Ma sono scritte a matita queste domande. Perché sono quasi vicina alla consapevolezza che l'altro esiste in relazione con il fantasma di una falsa chiamata.
Attiriamo chi riusciamo o possiamo vedere in quel dato momento della nostra vita.
Anche se l'onestà dell'altro io non la metto mai in dubbio.
Il rispetto dell'altro. E in questo il deficit è che io non ne ho avuto per me stessa se ho permesso d' intrecciare i miei giorni, le mie energie con chi ho chiamato cuore fragile. Per esempio. L'ultimo.


Mio padre mi ha violentata più nell'essenza. La sua paura di vivere proiettata su di me è stata la vera violenza. Ora sono più forte forse. Anche se ho cadute di stile e inciampo nel silenzio senza chiedere mai aiuto, come una stupida stoica. Eppure ora sono riuscita a perdonarlo. Vedendo le sue fragilità e la sua incapacità di raggiungermi dietro un disperato bisogno di ricongiungersi a me.
Io non stavo nelle sue funzioni algebriche. Non è mai riuscito a risolvermi nella e con la sicurezza della sua matematica. Ero più affine alla biologia e alle scienze che m'insegnava durante i campeggi e le uscite nella natura. Da bambina. Prima dell'incindente e della sua follia.
Quando mi mostrava i fiori catalogati, gli animali, il rispetto per la natura. Quello l'ho trattenuto. Quello era l'amore che mi legava a lui. Quello resta. Non la follia.
Ho tentato di diventare quel che lui desiderasse. Ma non ci sono riuscita. Ero qualcosa d'altro. Un femminile sconosciuto, desiderante e ribelle. E come ogni  cosa di diverso, spaventosa e da uccidere nella sua essenza e libertà. Perché noi nasciamo liberi, ma ci risolviamo in catene e nella violenza.
La vera violenza. Non rispettare l'altro per quello che è. Nei suoi desideri, nella sua natura ed unicità. E' nell'inganno che ci rende tutti uguali, la vera violenza.
Per fortuna ci sono parti del mio corpo che riescono ancora a ribellarsi e risvegliarsi.
La violenza  che ho fatto su me stessa è stato inseguire e accettare nella mia vita uomini che potessero ripetere la dinamica della paura. Avvicinarmi e poi uccidermi. Eppure sono finiti. Ma qualcosa resta.
Mio padre sta' rinascendo in una fatica di cambiamento. Mr. D. resta nell'artisticità che permetterà di fare circolare tra noi. Quella è una presenza autentica che ci unisce. Non le bugie e tantomeno le sue paure. Quelle e il dolore li ho archiviati come parte di un passato necessario per una mia crescita.
Finisce quel che non era. Per questo ho l'ansia d'ingrassare la mia anima. Perché non finisca con la rinuncia del  corpo. E si trasformi in altro di cui forse non avrò più consapevolezza. Ma che resterà.
Ieri Diego mi ha mandato una canzone di un disco che sta' facendo per una cantante che conosco. Forse pensa che il mio gusto possa avere un peso. Un qualche peso.

"Ciao,

bella.. Brava lei. Anche tu. Forse è un po' lungo l'inizio ( intro). Ma è bella. A volte mi soffermo a pensare a quanto sarebbe stato bello creare qualcosa insieme. Qualche giorno fa mi hai scritto che ero dentro a non so quale testamento e non ti ho risposto.
Per tante ragioni. Perché io sono viva e lo sei anche tu e perché dei soldi non me ne è mai fregato più di tanto. Non era la ragione per cui ti ho incontrato. O per cui io abbia voluto incontrarti. Me lo sono chiesta tante volte sai?
Il motivo del nostro incontro e perché io sia rimasta tanto nonostante i segnali che tu non mi volessi siano stati chiari, diversi, ma chiari. E' banale, ma è stata proprio la verità che mi ha portata a te. Che mi fa restare. In modo diverso.
Sto' scrivendo una cosa partendo da una frase che mi ha colpito e su riflessioni sulla morte.  Finisce solo quello che non era. E' vero. Sopravvive e si trasforma quello che ha avuto una sua autenticità. Per questo tuo padre non se ne andrà mai. Te lo avevo scritto e lo penso. Se non te ne vai tu, lui non se ne andrà mai.
Sei bravo. E sei un musicista. Un artista. Era questa la ragione che ci ha fatti incontrare. Per ragioni diverse per me e per te. Tuo padre ti ha amato anche per questa tua essenza.
Tutti ti amano per quello che sei.
Ci sono tante altre riflessioni che ho fatto e faccio questi giorni. Non sto' bene fisicamente oggi. Da ieri e anche per altre ragioni. Ma è un passaggio.
Ciao
Ti voglio bene
Annalisa".

 Finisce quello che non era. Finisce solo quello che non era..