domenica 29 giugno 2014

Ho smesso di combattere


Mesi fa un mio caro amico mi fece ascoltare questa canzone di Samuele Bersani: "Ultima chance".
Era appena uscita.
Per un caso ci trovavamo entrambi in mezzo ad una storia simile a quella raccontata. Una storia fatta di dolore che noi dipingevamo come "amore".
Io rincorrevo un uomo che mi usava ed illudeva. Lui anche.
Una storia etero ed una omosessuale, ma uguale nella dinamica. Un gioco vittima e carnefice mascherato di onestà.
Ma i disonesti eravamo solo noi. Lo eravamo nell'amare e nel pretendere un cambiamento. E nel pensare che i responsabili eravamo noi. Nel proteggere l'altro che non aveva responsabilità nell'azione.
Inconsciamente era come se fosse giusto farci fare del male.
Potevo solo stare nell'ombra a subire, aspettare, soffrire e pensare che fosse così, come il mio "peccato originale" mi aveva insegnato. Così doveva essere.
Forse, in un certo senso, dare il mio corpo in oggetto all'altro perché si masturbasse e svuotasse, era eccitante come il mio corpo infantile aveva imparato.
Un comportamento insano. Alla fine di ogni atto, in fondo, mi giravo dall'altra parte del letto e piangevo in silenzio. Il cuore ingabbiato dallo sperma tra le mie gambe e sulla mia pancia, mentre l'altro dormiva incurante di me.
E chiamavo "fare l'amore" il mio corpo stretto in quello di un uomo che si masturbava risucchiando le mie illusioni e speranze implicite. Come una bambola piena di morsi.
Non era neanche erotico. Ma un gioco inconscio. Forse avrei dovuto dare più fiducia a quelle lacrime.
O urlare.
A distanza di mesi, mi sono affidata a parole. A un nuovo incontro che pareva nascesse da una fiducia, o un bene. Non dico "amore" anche se poi qual'è la differenza?
Eppure, alla fine, ancora un "non valore". Nessun rispetto nelle azioni. Le mie responsabilità irresponsabili. Ma sempre solo le mie. E le giustificazioni "del" e "per" l'altro.
Il bene e l'amore non hanno limiti. Rientrano nella fiducia e nell'onestà. Sono crescita e valore aggiunto. Nei fatti.
I fatti. Questi sconosciuti. Eppure sono il "gap" che rende piena la parola o la bulimia del "dire".
A distanza di mesi mi ritrovo nello stesso bilancio. La mia anima allo specchio e il tempo dato ad un fuoco incurante di me.
Tutto inizia e finisce per poi essere trasformato. Come la nostra vita. Eppure.. incontro solo vuoti che tento di riempire e m'illudono in un ritorno fatto di echi senza fine.
E non resta nulla. Non resta nulla.
Solo un falò di parole e non incontri che bruciano il tempo della mia esistenza. Senza crescita.
Alla fine raccolgo la cenere del nulla. E con la cenere non faccio nulla.
Ora non ho neanche l'energia o la spinta per un perdono, una giustificazione.
La mia anima come una città bruciata. Come dopo una guerra. E una ricostruzione dovuta. Non so a chi.
Forse a una nuova me. E'quel limite raggiunto che porta ad una reazione.
Reagisco. E se reagisco smetto di combattere per il nulla, ma vivo per un risveglio.

"Di meriti non me ne hai mai dati mai,
anzi mi screditi davanti agli altri e ora lo fai
come chi è cinico e pensa di essere sensibile,
si crede integro e invece è solamente un debole.
Tu hai la mia pietà per l'odio che ti ha nutrito di bugie,
io ti perdono anche in nome di una mia grande libertà,
le scelte sono mie.
Dubito che detto questo tu smetterai subito,
evito di immaginare ancora quello che mi darà il vomito.
Il limite l'hai già raggiunto e ogni momento è insopportabile,
io non ne posso più ma se reagisco allora
ho smesso di combattere.
Tu hai la mia pietà per l'odio che ti ha riempito di manie
e ti perdono anche in nome di una mia grande libertà,
non chiedo garanzie.
Conto sulle dita i passi avanti
aspettando segni di onestà e di risveglio,
e come va? Non va un po' meglio?
Tu hai la mia pietà per l'odio che ti ha nutrito di bugie,
io ti perdono anche in nome di una mia grande libertà,
le scelte sono mie.
Buono sì, però coglione no,
e tu ricordalo che aspetterò fino ad un certo punto
e dopo non ti darò un'occasione
per rimediare con ritardo al mio dolore...
un'occasione per rimediare con ritardo al mio dolore..."



( Samuele Bersani)



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