mercoledì 31 dicembre 2014

Il Bacio dell' Arte

"Passo domani a farti le condoglianze e darti un abbraccio. Non sono riuscita a venire al funerale per il lavoro. Periodo di lotta di nuovo".
Domenica di prove alle Scimmie e Teatro Danza per liberare sempre più il mio corpo in scena in modo che diventi un tutt'uno con la mia anima. L'attore rappresenta con il corpo tutto ciò che con le parole non è rappresentabile.
Gli attori di parola sono morti. Forse non sono mai vissuti o sono stati lo specchio di una non vita. O di un'umanità che non aveva voglia di coinvolgersi più di tanto.
Eppure io ho sempre rappresentato con la parola. Anzi, no. Ho scritto e basta. Ero quella cosa che in teatro chiamano "dramaturg". Oppure nella versione di pura "scrittrice". Senza avere il riconoscimento per poterlo fare.
Mi avevano definita così a dodici anni. Ho ritrovato l'articolo del mio racconto. Avevo vinto un premio alle medie, nella mia città. E il racconto era gotico. Fantascienza e morte.
Non lo avrebbe mai scritto una bambina di quell'età. Non una felice. O una "normale". Ero dark e mi sentivo inadeguata. O strana.
Anche adesso mi sento tale. 

Divisa. Forse su una strada in cui la parola scorre nel mio corpo. E poi nella voce. Perché c'è anche il canto. Devo riunire i puzzles di una me che è nata. Perché sia ferma nella sua complessità e possa permettersi di vivere quel che resta in una pienezza.
Sono quasi vicina alla consapevolezza che ho solo io il potere di vivere e non di esistere.
E' iniziato nello studio di John il mio percorso. Arrivavo in via cagliero con le mie borse dello sport. E ogni tanto Pepe dietro che non capiva perché quella ragazza dolce e forte e senza desideri per se stessa, piangesse sempre e si rotolasse dal dolore alle ovaie.
Piangevo in continuazione. Non mi piaceva lo studio di via cagliero. Era vicino casa. L'avevo scelto per quello. Solo per quello. Ed ero disperata perché non sapevo cosa stesse succedendo al mio corpo.
A distanza di quasi dieci anni, sono io che vado nello studio di John, un altro luogo, e non per fare analisi, ma per portargli "un abbraccio". L'ho definito così nella mia modalità di attrice.
Per essere felici, basterebbe vivere. Come mio nipote. Vive ogni attimo essendo se stesso. Ma ha solo nove mesi. Eppure è felice. Invece ci accontentiamo di esistere. Non implica nessuna fatica esistere. Vivere invece comporta.. tutto.
Chissà che non sia il teatro l'unica vera vita.. Lì devo vivere e non limitarmi. Il rischio sarebbe fare scappare annoiato il pubblico. Che a teatro viene a vedere se stesso.

Mi siedo nello studio di John. Come fanno i pazienti. Come ho fatto per anni. Prima del taglio deciso da me, ma messo in atto dall'incapacità di amare. Solo la mia? Quella di chi ho permesso di entrare nella mia vita? Di chi in nome della razionalità della paura tenta di decifrare il mondo.
Non parlo molto. Sento il dolore. Il cambiamento. La perdita. Il disagio e lo sforzo per non piangere.
Così come si fa in questi casi, parlo del teatro e della passione che ci lega.
"E' come una droga il teatro" mi dice John. Si. Certo. Io non sono molto diversa da Mr D. e dalle persone con dipendenze che mi hanno cercata.
Ho la stessa fame ed energia. O ansia. Solo che poco a poco ho imparato a farmi di arte. Teatro. Musica. Scrittura. Ma il teatro racchiude tutto. Anche il corpo.
Gli racconto anche di Mr D. Dopo la morte del padre c'è un tentativo di cambiamento. Da parte sua.
E racconto del mio compleanno. Della cena in un ristorante di pesce raffinato. Del regalo. Soldi.
Poca cosa per lui ora.
Ero in difficoltà e lo sapeva. "Mi ha dato dei soldi. Li ha ritirati e messi nella mia borsa". Tanti soldi per me. Che ho tentato di rifiutare, ma "Posso avere il diritto di farti un regalo?".
John mi segue. Un po'. "Non sono andata a letto con lui. Mi ha portata a casa e ci siamo baciati. Poi ora dobbiamo riprendere a lavorare insieme".
Preferisco tenere il bacio dell'arte e non rischiare di rovinare ancora. In qualche modo John è tranquillo. Poi parliamo della mia analisi. E tento di segnare un appuntamento a cui non andrò.
Esco e gli do' un abbraccio con lo sguardo.

Non ho detto a John che quella sera Mr D. mi ha mandato una foto. Una foto vecchia che ci eravamo fatti.
Io l'ho rivisitata con un programmino e rispedita a lui come fosse un quadro.
"Il Bacio dell' Arte". Magari ora riusciamo ad incontrarci in quello come Annalisa e Diego.
Da quella sera e da quel manifesto, sono successe altre cose. Liti e collaborazioni. Il suo concerto al teatro Leonardo.
La nostra notte insieme. Dice che mi ama. Che non può pensare di raggiungersi se non con me. Ed io con lui?
Pongo resistenze e paure. Anche di fronte al figlio che vuole da me. Saprà amarmi per la donna che sono?
"Caro Diego, la mia artisticità rientra nel mio modo di essere donna e di amare. Non è biologico e tantomeno naturale per me fingere e dividere. La musica o il teatro mi fanno amare meglio. Io sono questo. E voglio continuare a credere che ciò che ci fa stare qui sia ancora e solo quella scintilla di Dio che ci fa correre e protendere all'infinito come due rette parallele. La chiamo arte.
Credo che solo per questo legame profondo, io non smetterò mai di amarti".


mercoledì 19 novembre 2014

La valigia dell'attore

"Riuscireste a dire chi siete? ". E' Gaddo. Il mio maestro alle Scimmie Nude.
Ho sempre pensato fosse geniale nella sua fragile umanità. Nel suo approccio al teatro. E fondamentalmente onesto anche in una brutalità. A volte.
E' una qualità, questa dell'onestà, difficile da trovare. Ne ho incontrate poche di persone così. Il più delle volte sono quelle più difficili. Stanno soli. Perché si bastano. Forse. O perché non riescono ad incontrare qualcun altro di altrettanto libero con cui condividere sensi forti. Oltre il bisogno e il compromesso della necessità.
Ieri sera c'era anche John alle Scimmie. In questo scambio artistico. Nella mia ingenua umiltà o nella mia umiltà ingenua, ho sempre pensato che il teatro, quello delle Scimmie, fosse il completamento del suo lavoro. E magari la spada che eliminasse per sempre il muro della razionalità intellettuale, della psicanalisi troppo "dentro" e poco espressa nel corpo perché possa risultare vera ed "assunta". Ai cieli? Ai cieli dell'infinito dell'essere umano.

Non sono arrabbiata con lui. Con Giovanni. Non più. Ma non riesco ad andare in analisi. Per ora. Il non detto si è trasformato in un tappeto d'alghe. Giù in basso. Come se non appartenesse a nessuno. Se non alla mia paura. Alle mie paure.
Di fatto io non vado più. Ma sento le alghe che mi solleticano i piedi. Ogni notte. Avevo paura di loro al mare. All' Isola Palmaria stavano sotto di me. Una macchia nera che m'impauriva da bambina. Eppure necessarie.
La paura lo è. Oltre quella ci siamo noi. Parti di noi. Esiste per spingerci sempre più al largo.

"Perché siete qui? Perché fate teatro?". E' la domanda. L'altra a cui ho una risposta. Ora. Dopo tanti anni.
Alla prima, a chi io sia, non so rispondere. E' racchiusa nella seconda. Faccio teatro per sapere chi sono o poter vivere tutto quello che sono e che non sono. Per poter vivere le infinite donne che vivono dentro di me. Non sono una. Ci sono più voci. Più occhi. Più cuori. Donne più buone. Più dolci. Più perfide. Più erotiche e perverse. Diverse. Diverse. Tutte diverse. E devo farle uscire. Per una necessità. Devo dar loro una forma. Il teatro mi permette di guardarle con simpatia. Di non essere in mano loro. Anche quando scrivo succede la stessa cosa. Escono da me infinite forme. Anche esseri informi. Che partorisco e riconosco o no, in una maternità che non ha fine. Non ha fine.
Non so dire chi sono. Un'attrice? Sono il padre e la figlia. L'amante, la sciantosa. Che lascia la sua vita di là. In un bagno squallido per darmi a chi vuole vedere attraverso di me. Per poco. Per fare calare il sipario sulla mia vita. Che tanto pulita non è.
Non c'è foto sul mio documento d'identità. Ma esisto. Nella mia umanità. M'inchino ripetutamente e ringrazio infinitamente chi vuole scambiare la sua essenza nella mia, con la mia. Io sono tutto e nessuno.
Una grande famiglia..


..che si perderà. O si spengerà. O trasformerà.
Faccio teatro perché mi permette di entrare nel mistero della vita, dell'essenza dell'essere umano.
Non so definire chi io sia. Ho sempre avuto problemi nel redarre un curriculum. Di fatto ne ho 3 o 4. Uno come business analyst. Un altro come attrice. Uno come cantante.. Uno emergente come autrice.
Io sono uno, nessuno o centomila.. tutti chiusi nella valigia dell'attore.


mercoledì 5 novembre 2014

Le riserve



"Nulla di quel che vivo di reale mi soddisfa, ma sono incuriosita da te”. 
Non posso continuare a vivere nella sua testa. Non è etico.
Eppure vado avanti da più di un anno così. La sera, qualsiasi sia l'ora, mi connetto e divento Andrea. Un uomo. In teatro sarebbe più semplice. Ancora più semplice. Mi basterebbe mettere un costume e usare l'energia maschile. Basta quella e avrei una mia fisicità. Qui è tutto affidato alla parola. E' così difficile anche solo rendere in azioni e scrivere la mia storia con Marie.
A te capita di porti delle domande e non riuscire a rispondere anche se sei padrone dell'argomento?”.
Si Marie. Certo. Sempre”. Costantemente. Vado in macchina e sbatto in continuazione come Eliza. Le domande mi balzano sul volante, entrano in testa e scivolano davanti agli occhi. Saracinesca giù. Buio. Buuuuuuuum!! Ho finito i fogli della constatazione amichevole a forza di tamponamenti.
Non glielo dico alla mia fidanzata virtuale. Viviamo vicini. No, vicine. No, vicini. Perché se penso a lei, io penso a lei con il cuore di un uomo. E l'energia di un uomo. Vorrei tanto poter essere Andrea. Esistere in quel corpo da attore.
Invece sono Eliza. Con la z di Zorro. Perché in qualche modo dovevo lasciare il segno come Zorro nella vita. Invece i segni sono sulla mia auto, sulle mie ginocchia che cadono e si scontrono con l'asfalto della vita. Nei lividi delle mie cosce che ha lasciato lui, l'uomo che era anche di lei. Il maschile che mi ha portata a tradire il patto della fiducia con la mia anima. E dell'altro. Dell'altra me. Delle infinite altre di me.
Stasera ho imparato una cosa da me stessa.. Chissà quanti bicchieri di vino avevo bevuto :)) “ .
Rispondo con un “ :) “. Io che sono sempre stata la nazista dell'ortografia. Odio le emoticons e il nuovo linguaggio “giovane” e “facile” di un mondo che non comunica e non si tocca più in un'apparente abbraccio ed orgasmo di sesso impenetrante.
E cos'hai capito di te stessa?”. Lei non risponde. Ogni tanto accade che questa relazione abbia tempi, silenzi e spazi indefiniti. Nuovi ed accettati da entrambi. Entrambe? Oh com'è difficile definire il genere.. Eppure come ho imparato bene ad essere di genere maschile in ogni parola e declinazione del mio essere descrittivo.
Mi sono adattato a chiudermi in una “o” per apprezzare meglio l'apertura della mia “a” femminile. Come il grido di piacere di un mio orgasmo. Sempre aperto nel vocalizzo.
Gli uomini che ho avuto, si sono sempre chiusi nella loro egoistica “o”.
Allora ora mi permetto i miei tempi comodi. Dall'altra parte ho un'interlocutrice che conosco e mi fa godere di più nel suo femminile accogliente.
I nostri tempi comodi di risposta. Ho il tempo per sdoppiarmi, scindermi e riprendermi senza mai capire in fondo chi io sia.
Mi dirai dopo allora. Vado a mangiare qualcosina e poi torno. Sono un po' malinconico oggi”. Oddio sempre. Lo sono sempre. Come Eliza e anche come Andrea. Nell' illusione di un maschile che rincorro con un costume da Supermaxieroe, sono pur sempre io. Sono pur sempre io? Io chi?
Nella mia anima irrequieta e desiderante di non so bene ancora cosa. Un senso?
Aggiungo: “Ho quella strana sensazione di essere un po' in alta marea..”. Attesa del suo silenzio. “Spero di ritrovarti”.
Quello che ho detto al mio amico : il nostro disagio mentale o comportamentale... è sempre frutto di un disagio dell'anima.. ed il disagio dell'anima non va sottovalutato.. ti aspetto dopo la tua cena”. Dice lei.
Scrive “Anima”. E' colpa mia se ne parla dopo un anno e mezzo di dialoghi sfinenti, illuminanti. Maratone della e nella notte in cui leggevo di lei tentando di leggere di lui. Alla fine ho letto di me.
L'anima. Cristo santo.. è il centro del nostro universo composto di parole. Le ho pure fatto comprare “Il codice dell'anima” di James Hillman. E non le è piaciuto. E come potrebbe? Tento di trasformarla in una parte di me perché esista. Perché esista io dentro di lei non potendola penetrare con il mio corpo. Perché non posso? Perché non posso. Non ho un “sesso” maschile tra le mie gambe. Anche se parlo e faccio credere di averne uno, potente, pregnante e diverso.
Anche se mi percepisce uomo. Dice: “Si capisce benissimo che sei uomo da come scrivi. Sei scemo!”.
Certo. Invece la scrittura non ha sesso. E' androgina. E' l'unica forma vivente che possa permettersi di esistere libera e senza sesso o confini o lotte intestine e intestinali!
E se lei.. se lei mi amasse solo perché pensa che io abbia in realtà, solo perché m'immagina con un fallo tra le gambre? Magari uno più femminile e creativo di quelli che ho incontrato io. Che parlavano perché gli davo un nome, una vita per essere meno brutali del primo che mi ha paralizzato e destinata ad una caduta perenne.
L'elevazione di una me dall'alto. Sono qui, ma è come se non fossi qui. Anche mentre scrivo. Mentre corro e medito a mio modo il mio significato su questa terra. Come se calpestassi qualcosa che non mi appartiene.. mentre corro con le Saucony Jazz. E la musica scelta così a modo che quasi credo di non essere io. Di non essere più io.
Forse non lo sono mai anche se credo di esserlo. Andrea non è più falso di Eliza o delle infinite maschere che mettiamo e togliamo. Maschere che nascondono la nostra morte. Ora dopo ora. Secondo dopo secondo.
Andrea, non sei più verde!!”. E' Marie che interrompe il flusso dell'inconscio.
Se non sono verde, vuol dire che ci sono, ma sono nascosto”. Non ha capito. Non ha ancora capito che esistiamo su codici e forme diverse. Che esisto in una novità. In un tentativo di costruzione e decostruzione del mio genere, del suo, della mia sessualità incastrante, impenetrante e non amante dell'amore.
Non ha capito che ci amiamo e percepiamo in un nuovo linguaggio?
Se solo la smettesse di ostinarsi ad amare le sue antiche paure..

domenica 2 novembre 2014

Finisce solo quello che non era

In questa difficoltà di scrivere, di cambi di direzione, di nuovi percorsi e nuovi personaggi, mi ritrovo a combattere con i dolori alle mie ovaie. Ancora una volta. Mi tagliano le gambe. Mi costringono a stare in casa e a rimandare appuntamenti. Sangue ancora.
Se ne sono andate tante persone e ne ho incrociate tante. Molte vuote. Mi ritrovo a scrivermi con Gian Paolo spesso. Fassbinder riceve. Archivia i miei pensieri e i miei sensi di colpa.
Ora che ho deciso d'interrompere un'analisi inquinata nella sua purezza da anime incomplete, mi ritrovo ad analizzare la donna che sta' per nascere. Da sola. Da donna a donna. Ce ne sono due nel nome apparente. E infinite nella mia anima e animalità d'attrice. Atleta e dinamica dello stile di vita.
Sono ancora presente alle chiamate di Mr D. Anche se a frangenti invia i soliti inviti che percepisco ancora uguali alla sua modalità di "sesso e un po' d'amore". Non ho ben chiaro cosa voglia da me di preciso e in che presenza. Eppure resto per la sofferenza e il dolore della perdita di un padre così penetrante, potente, severo, importante e schiacciante. E per un bene che gli voglio.
Io mio padre l'ho riammesso perché ho perdonato me stessa. In parte. Non del tutto. C'è ancora qualcosa che desidera distruggere quella bambina che si è data per non essere uccisa.
Mr D. no. Si ostina ad essere Mr D. ancora. Non voglio più essere complice di anime autodistruttive. Tantomeno salvarle nel tentativo di salvare me. Esistono uomini migliori. Li ho conosciuti. Molti sono più giovani di me. E non c'è anagrafica che tenga alla purezza dell'amore.
Lo sosterrò finché potrò. La violenza non ha età. Come l'amore.
Dialogavo con Gian Paolo ieri. Parlavamo di violenza. Dei miei incontri. Dell'ultimo cuore fragile che probabilmente cuore fragile non è. Ho sbagliato a determinarlo. Di fatto ora non ne scrivo più. Finisce solo quello che non era.
Ne ho riparlato con Fassbinder perché ha pubblicato un post sul suo blog in cui c'è un pensiero di questa persona.
Restano le mie domande su quell'incontro. Domande legate alla violenza. Per me. Perché ho dato fiducia alla bontà del suo desiderio per subirne l'assenza. Ma sono scritte a matita queste domande. Perché sono quasi vicina alla consapevolezza che l'altro esiste in relazione con il fantasma di una falsa chiamata.
Attiriamo chi riusciamo o possiamo vedere in quel dato momento della nostra vita.
Anche se l'onestà dell'altro io non la metto mai in dubbio.
Il rispetto dell'altro. E in questo il deficit è che io non ne ho avuto per me stessa se ho permesso d' intrecciare i miei giorni, le mie energie con chi ho chiamato cuore fragile. Per esempio. L'ultimo.


Mio padre mi ha violentata più nell'essenza. La sua paura di vivere proiettata su di me è stata la vera violenza. Ora sono più forte forse. Anche se ho cadute di stile e inciampo nel silenzio senza chiedere mai aiuto, come una stupida stoica. Eppure ora sono riuscita a perdonarlo. Vedendo le sue fragilità e la sua incapacità di raggiungermi dietro un disperato bisogno di ricongiungersi a me.
Io non stavo nelle sue funzioni algebriche. Non è mai riuscito a risolvermi nella e con la sicurezza della sua matematica. Ero più affine alla biologia e alle scienze che m'insegnava durante i campeggi e le uscite nella natura. Da bambina. Prima dell'incindente e della sua follia.
Quando mi mostrava i fiori catalogati, gli animali, il rispetto per la natura. Quello l'ho trattenuto. Quello era l'amore che mi legava a lui. Quello resta. Non la follia.
Ho tentato di diventare quel che lui desiderasse. Ma non ci sono riuscita. Ero qualcosa d'altro. Un femminile sconosciuto, desiderante e ribelle. E come ogni  cosa di diverso, spaventosa e da uccidere nella sua essenza e libertà. Perché noi nasciamo liberi, ma ci risolviamo in catene e nella violenza.
La vera violenza. Non rispettare l'altro per quello che è. Nei suoi desideri, nella sua natura ed unicità. E' nell'inganno che ci rende tutti uguali, la vera violenza.
Per fortuna ci sono parti del mio corpo che riescono ancora a ribellarsi e risvegliarsi.
La violenza  che ho fatto su me stessa è stato inseguire e accettare nella mia vita uomini che potessero ripetere la dinamica della paura. Avvicinarmi e poi uccidermi. Eppure sono finiti. Ma qualcosa resta.
Mio padre sta' rinascendo in una fatica di cambiamento. Mr. D. resta nell'artisticità che permetterà di fare circolare tra noi. Quella è una presenza autentica che ci unisce. Non le bugie e tantomeno le sue paure. Quelle e il dolore li ho archiviati come parte di un passato necessario per una mia crescita.
Finisce quel che non era. Per questo ho l'ansia d'ingrassare la mia anima. Perché non finisca con la rinuncia del  corpo. E si trasformi in altro di cui forse non avrò più consapevolezza. Ma che resterà.
Ieri Diego mi ha mandato una canzone di un disco che sta' facendo per una cantante che conosco. Forse pensa che il mio gusto possa avere un peso. Un qualche peso.

"Ciao,

bella.. Brava lei. Anche tu. Forse è un po' lungo l'inizio ( intro). Ma è bella. A volte mi soffermo a pensare a quanto sarebbe stato bello creare qualcosa insieme. Qualche giorno fa mi hai scritto che ero dentro a non so quale testamento e non ti ho risposto.
Per tante ragioni. Perché io sono viva e lo sei anche tu e perché dei soldi non me ne è mai fregato più di tanto. Non era la ragione per cui ti ho incontrato. O per cui io abbia voluto incontrarti. Me lo sono chiesta tante volte sai?
Il motivo del nostro incontro e perché io sia rimasta tanto nonostante i segnali che tu non mi volessi siano stati chiari, diversi, ma chiari. E' banale, ma è stata proprio la verità che mi ha portata a te. Che mi fa restare. In modo diverso.
Sto' scrivendo una cosa partendo da una frase che mi ha colpito e su riflessioni sulla morte.  Finisce solo quello che non era. E' vero. Sopravvive e si trasforma quello che ha avuto una sua autenticità. Per questo tuo padre non se ne andrà mai. Te lo avevo scritto e lo penso. Se non te ne vai tu, lui non se ne andrà mai.
Sei bravo. E sei un musicista. Un artista. Era questa la ragione che ci ha fatti incontrare. Per ragioni diverse per me e per te. Tuo padre ti ha amato anche per questa tua essenza.
Tutti ti amano per quello che sei.
Ci sono tante altre riflessioni che ho fatto e faccio questi giorni. Non sto' bene fisicamente oggi. Da ieri e anche per altre ragioni. Ma è un passaggio.
Ciao
Ti voglio bene
Annalisa".

 Finisce quello che non era. Finisce solo quello che non era..




venerdì 17 ottobre 2014

Head over feet

Ciao Diego,

"Il cuore ha le sue prigioni che l'intelligenza non apre".
E' una piccola pergamena di carta verde che regalano al Be Bop. Abbiamo scelto il messaggio tutti e tre. Io, tu e tua madre. E a me è capitato questo. Mi hai sorriso dicendo: " Proprio a te che sei la più intelligente qui dentro doveva capitare questo...!".
Erano mesi che non ci vedevamo.
Ero così nervosa che non riuscivo a trovare un vestito adatto per questo nuovo incontro. Niente che fosse troppo provocante o troppo da artista sinistroide.. e così ho messo il tailleur blue. Con la giacca. I miei stivali grigi. Poco trucco. I capelli lunghi che non taglio più da mesi. Come se volessi restare neutra. Come se io potessi esserlo.
"Mi sono vestita come la preside delle medie!". Ti ho scritto.
"Bello!" mi hai risposto.
Sono arrivata in perfetto orario. Con tanta paura. Te l'avevo anche scritto. In un sms nel pomeriggio.
Era da gennaio che non ci vedevamo. Sono successe così tante cose in questi mesi. Dentro di me e nella mia vita. Mentre guidavo mi chiedevo se fosse il momento. E se mai avessi avuto voglia di sapere.
Forse non lo era. Ma sentivo che c'era un senso. Come se il tuo desiderio di rivedermi fosse legato a un processo. Ad un percorso. Tuo, ma anche mio.
Quando sono arrivata davanti al ristorante, con la mia kia piena di "botte", mi sei venuto incontro. Ho tirato giù il finestrino. Ci siamo guardati a lungo.
Ed è stato come se non fosse passato neanche un giorno. Per me. Neanche un'ora da quella mattina in cui salutai te, Jack e al tuo "Ci sentiamo dopo?", piangendo risposi "No. Per un po' no. Non ce la faccio più a continuare così".
Me ne andai con la morte dentro. Tu alla finestra a guardarmi mentre mi aprivi il tuo cancello per l'ultima volta.
I mesi invernali nel tentativo di dimenticarmi dell'amore che provavo. Di te. Di me. Delle possibilità.

"Ciao.."
"Ciao.. metto l'auto nel garage qui sotto".
Mentre risalivo a piedi, per tornare di fronte al ristorante, mi hai sorriso da lontano. Poche parole. E un abbraccio forte. Lungo. Mi hai dato un bacio. Era quasi naturale. Automatico. Forse, ma ti ho detto: "No, ti prego.. non rendermi le cose difficili". Ti sei messo a ridere mentre arrivava tua madre.
"Ma che bella sei. Ma non ti ricordavo così bella. Con questi occhi.." . Mi aveva vista recitare. Alla Mala. Là avevo i capelli raccolti. E non ero io. O si. In parte. Sono più demoniaca sul palco.

Il Be Bop è un ristorante raffinato. Mentre scelgo il mio rotolino verde, il mio messaggio, mi dici: " E' uno dei primi locali dove ho iniziato a suonare. Ora fanno solo cucina".
Mentre attendiamo gli antipasti di pesce, tua mamma mi da' una marmellata fatta con le arance amare di Framura. Vive lì. Vicino a casa mia, in Liguria, da tanti anni. Anzi, vive anche lì.  Tra Milano e la mia terra.
Parla di sé. Delle cose che ha fatto. Della sua galleria d'arte. E la storia surreale e divertente su quel francese.. nato etero che si è riscoperto bisessuale e con la passione per il travestimento sposando poi una famosa sarta novantenne...
Mi hai detto: "Stai pensando di scrivere una storia su questa roba vero?", Beh si.
Tua mamma è vitale e originale. Ha quella follia artistica in cui mi ritrovo. E penso anche "Che madre impegnativa deve essere stata..". Penso alla mia piccola mamma. Nella pienezza di questa parola che mi abbraccia d'amore.. dopo perdite e mancanze fatali.
Parliamo tanto, io e lei, mentre tu di tanto in tanto esci con e per la tua bulimia telefonica..
"Ma dove andrà sempre?!?" ti ha sgridato lei. Io ormai mi astengo. Mi sembrano lontani i giorni in cui ti "controllavo". Anche in questo. Con la paura di un tradimento. Non ha più importanza. Forse perché sto' iniziando a comprendere che l'unica ad avere il potere di tradire e tradirmi, sono solo io. E lascio a tua madre la comicità della coppia con te..
Il famoso bene profondo, quello che resta di cui mi parlava sempre John, mi fa stare seduta in questo ristorante. E perseguo quello.
E tra una grigliata di pesce, un risotto e il tuo hamburger di ricciola arriviamo a mezzanotte. Tua madre mi sgrida perché ho mangiato poco. Ha ragione.. Ma mi sono nutrita delle sue parole. Della sua vita da femminista coraggiosa e amante dell'arte. Dei racconti sulla sua galleria d'arte che ha visto passare quella che per me è l'unica vera arma dell'essere umano: la creatività.
Usciamo dal ristorante. Faccio una capatina in bagno mentre passano "Head over feet", versione jazz di Alanis Morrisette. Una delle mie preferite..
Tua mamma vuole farmi vedere la casa. Mentre andiamo, lei mi prende a braccetto, tu ti fermi in un locale sulla strada dove fanno una rassegna jazz. Riconosci alcuni amici che suonano e dici: " Qui ho suonato tantissimo anni fa con..." e sembri un bambino che ha ritrovato il suo gioco.
Ti fermi lì mentre io vado da tua madre pensando " e meno male che non voleva più suonare..".
La casa di tua madre è colorata.. piena di quadri di un suo ex compagno pittore. Ci sono tanti libri. Un camino e le sue foto. Quella dove ci sono particolari del suo volto ingranditi. Sembra la Gioconda. Era una bella donna. Lo è ancora.
Mi parla ancora della sua galleria d'arte. "Una ragazza è venuta qui perché sta' facendo una tesi sulla mia galleria". E lo dice con ardore.. "Non ero consapevole.. noi non eravamo consapevoli che stavamo vivendo momenti irripetibili. Che non sarebbero più tornati". Un po' invidio quel suo passato. Quello stato di grazia. Da' da mangiare a Jack. Poi vedo due disegni. "Sono di lui. Del Rubino. Il mio pittore. Prendili se vuoi. Li ho ritrovati in una soffitta. Li avrà fatti quando eravamo in Sardegna con Diego".
Ma non li ho presi. Mi sembrava di rubarle qualcosa.
Sulla libreria noto la stessa foto che hai anche tu, accanto al tuo letto. Lì sei giovane e hai un sorriso pieno di vita. "E' la stessa foto che ha Diego" dico.
"Ah si?" dice sorpresa. Come se non si aspettasse che tu tenessi una foto con lei in vista.
Beh, non è in vista in realtà. E' sul tuo soppalco. Accanto al letto. Tra spartiti e mozziconi di sigaretta..
La saluto e scendo con Jack. Vengo da te al locale. Mi presenti e tratti come la tua "fidanzata". Non so come fare. E infatti ci pensa Jack: piscia sul leggio di un tuo amico. Io inizio a ridere e tu imbarazzato ti scusi. Non poteva che capitarti un cane che piscia sulla musica...
Metto Jack nella mia macchina e ti aspetto sotto casa. Tu arrivi in scooter. E dici: "Sali da me e facciamo quattro chiacchiere". Si, figurati. Alle due di notte e con questo bell'alito alcolico..
Ma salgo. Gioco con Jack e mentre sto' per lanciare "testa di pollo" mi fermi, mi prendi e dici "Vuoi essere la mia fidanzata?".
E ti offendi perché rido come una matta. "Cosa ridi scema? E' una proposta seria".
"Questa scena l'abbiamo fatta già un sei sette volte in un anno e non siamo andati oltre ad una settimana..".
"No, ma questa volta è sul serio. Io ti amo Annalisa. Resta qui stanotte". E iniziano i "no" e i "si". E tu che non vuoi farmi andare via.
"Perché dovrebbe essere diverso ora?" ti chiedo.
"Perché io sono cambiato. Davvero".
Insomma, non resto. Non sei cambiato. Non ancora. Forse un giorno. Mi auguro un giorno. Per te. Per il bene profondo che ti voglio. Anche senza di me. Come sarà.
Ma io voglio l'amore. Qualcosa di più libero e rigenerante di una serata tra parole illusorie.
E ti rinnovo: "Mi devi sposare. Ora basta. La data del matrimonio. Era maggio scorso, ricordi?".
"Ah già.. si, ti sposo, ma mi devi dare almeno un figlio. E devi cambiare anche tu un po' ".
Rido. E mentre scendo le scale mi urli divertito: "Hai tempo fino a domani!".

La mattina dopo mi svegli con una telefonata e vari sms su tuo padre. Ne avevo parlato a tavola con tua madre. Dici che devi andare a Vercelli. E' ricoverato d'urgenza in rianimazione per una polmonite. Mi dici che è grave. Io non  voglio crederci. Non riesco. E ti do' forza.
Ti ho mandato un sms ieri notte dicendoti "Supererai anche questa. Non serve a molto, ma ti voglio molto molto bene".

Stamane mi hai scritto: "Si che mi serve se me lo dici. Non ce l'ha fatta. E' mancato alle 4 e mezza".
Così strana la vita. Ci ritroviamo dopo mesi. Tuo padre, un fantasma onnipresente per te, se ne va. E io non l'ho conosciuto. Non l'ho mai conosciuto. Ho sempre pensato non volessi farmelo conoscere. E forse è così. Per chissà quale paura. O forse no. Sono solo casi di una passività che ha rivelato la mia totale impotenza.
Mentre mi chiami e mi parli dei sensi di colpa, piangendo, commuovendoti per una parola che tuo padre ti ha detto l'ultimo giorno, io resto zitta. Ascolto i tuoi silenzi. Il tuo pianto.
Ho imparato a capirti e a conoscerti stando lontana. Senza farmi male. Forse mi sono distaccata al punto da poter amare in un bene profondo.
Poco fa mi hai chiamata raccontandomi con lucidità le azioni. Io non posso che ascoltare. Non posso che ascoltarti. Non so cosa significhi perdere un padre. Io ho rischiato di perdere mia madre due volte. E vivo l'idea della morte da quando avevo otto anni. Sospesa. La morte è un'idea che mi ha raggiunta e ingabbiata sin dall'infanzia. Come una spada incomprensibile sulla mia libera iniziativa. Sulle mie decisioni.
Io sono scappata dal mio. Ho temuto la sua morte fino a qualche mese fa. Meno ora. Molto meno ora che è ritornato in una riconciliazione.
"Ci sono cose invisibili, ma presenti. La tua felicità, è la mia. Se tu sei felice, lo sono anch'io. Non l'ho conosciuto. Ho sentito la sua voce che ti diceva questo quella domenica pomeriggio di gennaio. Eravamo sotto le coperte nudi. Avevamo appena fatto l'amore. L'hai chiamato e l'hai messo in viva-voce per farmi sentire. Mi ero messa a piangere. Perché mi aveva commosso il suo timbro tremante. Tu non capivi le mie lacrime. Pensavi fosse per mio padre. Invece era per l'amore. Lui lì ti diceva che ti amava per quello che sei e gli hai dato. Tieni questo amore vivo. Io non posso capire fino in fondo quello che stai vivendo, ma credo che lui il suo obiettivo più grande l'abbia raggiunto.. nel riconciliarsi con te nell'amore prima di morire. Questo solo conta".
Riesco a scriverti solo questo.
Sabato c'ero al funerale. Volevo arrivare da sola, invece per qualche ragione mi hai associata ad un'altra persona. Che mi ha scritto per andare insieme. Invece ho imparato così bene ad entrare ed uscire dalle vite degli altri in solitario silenzio.
Perché non voglio appartenere ad un tuo schema o ad una collezione. Tutto questo non fa altro che non renderti libero. Era per questo che scappavo da casa tua di notte mentre tu bestemmiavi.. Dentro di te.
Sono convinta che non appartenere a nessuno, neanche, soprattutto, a chi ci ha messi al mondo sia l'unica via per l'autenticità. Pur amandoli. Pur vivendoli. Pur essendoci. Pur condividendo. Ma in un cerchio altro. E' quello che insegnerò al mio bambino che verrà. Ad essere libero.
Mi avevi avvisata che ci sarebbero state tutte le tue ex. E Mt. Quella che io pensavo la donna "giusta" per te. La fidanzata che inconsciamente hai comicamente, con la mia complicità, messo in antagonismo con me. Per seguire, forse, uno schema.
Sono stata così stupida da entrarci e rovinare magari un vostro percorso. Ma non c'ero. Non c'ero totalmente nel mio obiettivo di amore.
Possiamo essere migliori di quello che gli altri ci fanno di credere di essere. Possiamo, siamo diversi e autentici. Io sono una donna diversa da quello che mio padre voleva io fossi. Non migliore. Diversa. E la sua violenza nasceva dal volermi ricondurre ad un suo desiderio. Per questo ti ho detto più di una volta: "Si, ma tu cosa desideri?".

Non importa. Vivo in questa utopia di libertà. Ci sono stata sabato. Volevo essere lì. Con il cuore pieno di amore e dolore anche.
Ci sono stata perché ho un bene profondo. E il mio abbraccio voleva aggiungersi a quello di tutti gli altri.
La mia creatività è stata alimentata dall'amore per te. Ho scritto tanto anche grazie a questo motore. E ora ho il bene del distacco. Forse un modo più sano di vivere le relazioni.
Anche se probabilmente noi non saremo mai.
Sei stato bravo questi giorni. Hai gestito con lucidità. Spero che tu possa bilanciare questa forza in un equilibrio solo tuo. Nessuno può permettersi di dirti cosa sia giusto o meno. Nessuno ha le risposte. Nessuno, se non te stesso. Ma devi essere fiero dell'amore che tuo padre ti ha dato. Soprattutto nell'ultimo periodo. Quella cosa così impalpabile deve, spero lo sia, la tua forza.
E' difficile. Molto. Lo so. Ma quella forza d'animo è l'unica sostanza che ti porterà a superare e vivere.
Il dolore che stai provando è tremendo, ma da attraversare.
Scrivo queste cose perché sono quelle che ho capito io. Finora. Un sapere che ti passo. Non per presunzione, ma per bene.
Credo di essere vicina all'amore vero. La mia domanda forte. Magari potrò tornare da Giovanni.  Vederlo e completare il mio percorso. Vedere la donna che sono attraverso lui. Sperando abbia aggiustato il suo apparecchio per l'udito...
Ti voglio tanto, tanto bene Diego. Sono parole che restano grazie al cambiamento..

Don't be alarmed if I fall head over feet
Don't be surprised if I love you for all that you are
I couldn't help it
It's all your fault 



martedì 14 ottobre 2014

Iscritta FIP in quarta C. Mensa Be Bop.

FIDAL, SDAM, FIP... Io sono tesserata FIDAL, ma da questa sera anche FIP. Solo che non è la Federazione Italiana Pallacanestro.. tantomeno un'altra Federazione di atletica, ma sta' per: Fiducia, Impegno, Puntualità.
E' iniziata la prima sessione alle Scimmie Nude. Gaddo questa sera, seduto al centro della palestra, con una cartella in mano, sembrava proprio un allenatore o un preparatore atletico. Pretende le quattro C da noi e che aderiamo perfettamente alla FIP.
Cuore, Coraggio, Curiosità e Concentrazione: sono le quattro C dell'attore. E la C della concentrazione per me è da migliorare. Mi distraggo in continuazione. Le prime tre ci sono.

FIP, invece, non è un nuovo tesseramento, ma Fiducia, Impegno e Puntualità.. E sulla P inciampo. Almeno negli anni passati. Va a braccetto con la C della concentrazione.
Non sono puntuale perché non sono concentrata e non essendo concentrata su me stessa, non posso essere puntuale.
Tanti attori di talento si sono bruciati non avendo quella C e quella P.

PorCo giuda!

Non so nemmeno se sono un'attrice di talento. Mi piace anche tanto scrivere e la musica. Ma sono insicura e in totale disequilibrio rispetto al mio desiderio e a me stessa. Meno, ma ancora, tuttavia.
Sarà un anno all'insegna dell'acquisizione del PC. Della mia aderenza al Partito Comunista? Non lo sopporto. Anche se sono stata di sinistra e innamorata di Bertinotti al liceo, mi sono ricreduta e resa anarchica. Ai margini di una credenza. Per non appartenere.
Quest'anno diventerò una comunistona dai piedi ben saldi al terreno? Il pugno pronto? E il PorCo giuda facile? Devo diventare come Mr D. in pratica.
Domani sera glielo dico. Dobbiamo incontrarci a cena. Io, lui e la sua mamma. Era l'unico modo per incontrarci. Con un giudice. Come negli incontri di boxe o wrestling. Lui si è pure messo a fare kick-boxing ora. Io l'ho fatto per anni. Ho ancora i guantoni e le fasce a casa. Come mi piaceva tirare calci e pugni...
Combattevo contro gli uomini perché avendo imparato bene la tecnica, piazzavo i colpi con "puntualità" e potenza. Era un primordiale modo di fare analisi e prendermela con il mio trauma.
Quindi, domani incontro Mr D. E la mamma. Che mi adora. Anche se secondo me adora tutte le ex compagne di Mr. D.

Torniamo al mio problema con il PC. Ci pensavo questa sera mentre rientravo. Con il mio cappellino nuovo. Una coppola da mafiosa per non dimenticarmi che io sono La Mala. Da qualche parte.
Ma perché ho problemi con quel tipo di PC?
Ho fatto un'auto analisi. E sono finita a pensare al sesso. E a tutti i miei casini. E per arrivare al sesso, sono passata per mio nipote. Ema. Mi fa morire dal ridere. E' così felice di esistere. Ride sempre. Si attacca ai miei capelli e li tira. Guarda tutto e tutti con la scoperta di chi viene da un mondo libero e felice e non comprende la nostra infelicità ingabbiata.
Proprio come i miei animali.. io da lui sto' imparando ad essere felice. E a ricordarmi chi ero. O com'ero. Mia madre dice che gli somiglio. E che da piccola ero una bambina sempre sorridente. Libera. Casinista si, ma felicemente esplosiva. E il sesso o la sessualità li vivevo come qualcosa di naturali. Come ogni essere vivente libero e non indottrinato.
Poi qualcosa è successo. Certamente. Devo scrivere. Devo scriverne. Devo trovare il coraggio di mettere a nudo la mia sensibilità. Di mettere un faro su quel teatro per dare dignità ad una bios mancante.
Ma non qui. Non in questo post. Non ora. Stasera era la serata di tesseramento teatrale. Sono atleta arruolata. Scimmia arruolata.
Anche se nella presentazione di me stessa ai nuovi arrivati, io ero in imbarazzo. Quasi fantozziana. Muovevo le dita. Non sapevo cosa dire, né come.. Così difficile stare realmente nudi, senza un costume come su un palcoscenico.
Poi Gaddo dice: " Vuol dire che siete salvi se ancora avete questa freschezza e paura. E non vi siete impostati usando una qualche tecnica". Meno male.
Io sono a disagio nell'essere Annalisa. Forse perché non sono mai lei. Mi sfugge sempre. E temo sarà così in eterno.
La prima serata alle Scimmie finisce. Esco fuori e ho le mani calde. Il viso caldo. Gli occhi che brillano e il cuore che pulsa. Pulsa tutto. Mi sento viva. Proprio come quando sono innamorata. Proprio come dopo aver fatto bene l'amore.. e con qualcuno che mi ama.
Fuori della sede della compagnia, in strada, tra i trans che aspettano i clienti, metto in scena un'improvvisazione con Ale e Paolo. I miei compagni teatrali.
E rientrando a casa, mi sento felice. Mi mancava il teatro. So già che non dormirò. Fa niente. E' la vita. Il sangue caldo che scorre. L'amore che si fa anche corpo.

"Domani sera ci vediamo al Ristorante Be Bop". E' Mr D.
"Lula?"
"No, come lo stile jazz" risponde serio.

Un ristorante con uno stile jazzista, proprio come lui..
Ho paura. D'incontrarlo. Ma non glielo scrivo. Perché sento che lui ne ha quanto me.. Forse. Forse.

domenica 12 ottobre 2014

WINTER SLEEP

"Sii sincero: pensi che io lanci messaggi da donna da una serata via? E' una mia questione..".
"No! Il contrario!".
Nasce da un confronto con Gian Paolo. E pare proprio argomento degno di questo Blog. Ma non è stato lui a rispondermi. L'ho chiesto direttamente a Mr D.
Mi vergogno un po' a tirare fuori questi post alla Sex and the City.. ma ho parlato di cose troppo "impegnative". O superficialmente impegnative. Eppure Pasolini riempie l'angoscia del senso dell' esistenza. Per me. Come la Pinacoteca e tutte le mostre che rincorro.
Scriviamo anche qualche "minchiata".
Sgrezziamo un po'. Così divento più simpatica. Anche se ieri sera John mi ha detto di andare in profondità. Alla "cosa" come la chiama lui. E ogni volta che dice così, penso al film horror "La Cosa". Sarà per questa associazione che non riesco ad andare tanto a fondo?

Comunque, ho chiesto a Mr D. Qualche sera fa, ho dato di "matto". Ho meno pazienza. Ed ho iniziato una filippica contro pietas, analisi e razionalità. E l'ho fatto a modo mio. " Cazzo Annalisa, anche tu sei umana!". Ha esclamato Mister.
Beh si. Ma io soffro proprio perché sono dentro la mia umanità. Anzi, sono invischiata nella mia umanità. Ho dubbi. Domande.
Questi giorni, in questo periodo, è come se la vita venisse a dirmi e darmi messaggi di chiusura. E'  come se mi si dicesse: "Insomma, adeguati, piegati, smetti di battere sempre lo stesso chiodo, tanto non metterai mai il tuo quadro".
Ne parlo sempre con Fassbinder. Mi sono pure fatta un test idiota sere fa. Risultato: nella tua vita precedente eri un giocoliere da strada, senza fissa dimora e padrone, per questo non trovi il tuo posto in questo mondo.
E che si fotta pure il test! Mi prendono in giro tutti. Insomma, ho rotto piatti e bicchieri. Sere fa. Da sola. Io non me la prendo con gli altri. Me la prendo con me stessa e le mie cose. E poi mi sono messa a scrivere.
"Uscite fuori. Mettetevi nelle parole mostri inadeguati  che vivete dentro di me!".
Ho "tirato" così tutta la settimana scorsa. In un senso di vago divagamento introspettivo. Così oggi mi sono alzata tardi. Ho fatto una corsetta e dopo aver fatto la spesa, mi sono "portata" al Bicocca. Uci Cinema.
E mi sono fatta scegliere dal film. Con Othello. Winter Sleep.
"Ha vinto a Cannes questo"
"Andiamo bene..." mi ha risposto. Lui che guarda tutti i kolossal e i film dove fanno "pum pum pum!! Muori bastardo!!"  o le commedie di plastica.. con me ha visto le cose più strane.
"Speriamo che ci sia almeno qualcuno in sala e non sia vuota come a tutti i films che scegli tu..".
E invece la sala è abbastanza popolata. Ma sono tutti vicini ai sessant'anni oppure ci sono coppie lesbo, con le spalle ritirate e i brufoli da mezza età.
Buio. Le prime immagini sull'Anatolia mi affascinano. Il senso di lontananza. Di deserto.
E' un film sulle distanze. E' stato il primo pensiero. E poi parole. Troppe.
Tre ore e un quarto di parole, silenzi, primi piani, luoghi chiusi e claustrofobici e le inquadrature di una paesaggio isolato. Solo.
Un ex-attore, Aydin, conduce una vita semplice. Ma agiata. Possiede un Hotel le cui stanze sono state suggestivamente incastonate in delle simil-caverne, più alcune abitazioni nel paese limitrofo. Vive con la giovane moglie Nihal e la sorella Necla, ospitando pochi clienti alla volta per via dell'ubicazione.
Rari gli incontri in un luogo dove tutto può solo diventare routine. Pericolosa routine. Devastante routine.
In una delle prime scene un bambino che va ancora alle elementari tende a suo modo un'imboscata ad Aydin, rompendogli il vetro dello sportello dell'auto con una pietra.
Ci vorranno un paio d'ore non tanto per capire il perché di quel gesto, quanto per comprenderne a fondo le motivazioni, accostandosi quanto più vicino possibile alla pesante atmosfera che si respira in quei luoghi quasi spettrali.
Ceylan, il regista, vuole dirci che tutti si trovano sulla medesima barca. Non importa quanto diversi siano i temperamenti, le indoli, e quanto tutto ciò renda incompatibili: da lontano la visione d'insieme ci consente di andare oltre, inquadrando la condizione in cui si trovano tutti. E questo azzera di colpo ogni tesi o ragionamento sostenuti sino a quel punto.
Winter Sleep è mosso da una passione viscerale nel volerci consegnare i limiti, le difficoltà, gli errori (sempre gli stessi), di chi, uomo, neanche in un ambiente del genere riesce a puntare all'essenziale. Aydin ripete costantemente di essere una persona semplice, facendo però pesare come un macigno tale presunta semplicità. Non ci tocca neppure chissà quale fatica interpretativa per rintracciare le peculiarità di ciascun personaggio: ci pensano loro a vomitarsi piccate analisi l'un l'altro.

Ceylan, attraverso uno sparuto gruppo composto da appena qualche elemento, riesce a mettere a nudo noi stessi, ciascuno di noi. E ci riesce con le numerose e talvolta volutamente tedianti conversazioni. Cerca in qualche modo di intercettare quel malessere che aleggia sin dall'inizio, ma che non viene mai esplicitamente manifestato.

È evidente che per riuscirci importante è stato avere un cast di attori eccezionale, coinvolto, pronto. Eppure è troppo lento. C'è un po' troppo esistenzialismo, filosofia sopra le righe.. letteratura...
Othello ha le mani sul viso. Siamo entrati in sala alle 20h30 senza cenare ed è quasi mezzanotte..
Ma il punto è... funziona il film?

Dopo quasi due ore, un paio di signori panzuti, si alzano gridando "Che noia!" e se ne vanno. Othello mi guarda con la stessa richiesta consapevole che se inizio un film, io lo guardo fino in fondo.. Guardo di tutto.

Alla fine di Winter Sleep, se ci si arriva, si è provati: non ci sono scorciatoie. E' come una maratona.
No, peggio. Perché qui ci si aspetta succeda qualcosa, ci sia una rivelazione di un qualche significato e invece.. non succede mai niente. Apparentemente.
Diciamo che non è un film per chi non ama la fatica.. Non è per chi non crede che qualcosa di buono è sempre alla fine di una grande fatica.
Eppure il mio maratoneta nero, uscendo, e ridendo come un pazzo dice:  "Falché, questa è l'ultima volta che vengo al cinema con te lasciandoti scegliere i films".
Vabbé, ha ragione. A vedere questi films ci devo venire da sola. O non me li godo.

"Sono al bar con amici". Sms di Mr D.
"Ah.. io ero a vedere Winter Sleep. Un pornazzo girato al polo nord con pinguini maggiorenni che guardano. Di soliti i pornazzi sono noiosi perché finiscono tutti uguali.. questo, invece, non finisce mai...".

The comedy of love..
Just to find a way out..
Just to find a fake mask of ligthness..
Just to find... just to find..

mercoledì 8 ottobre 2014

Il Dio delle piccole cose

Ho iniziato tanti appunti questi giorni. Tante idee su cui scrivere d' "amore". Questa parola che mi "perseguita" da quando ho iniziato la mia analisi interrotta per un corto circuito. Anche se scrivo ogni giorno a John, Giovanni. John quando voglio tenerlo lontano. Giovanni quando gli permetto d'assumere una qualche dimensione reale o dignitosa nella mia vita. Mi pare banale dichiararlo. Se con Lacan mi cura da anni.
Mi cura da cosa? Dalla fame di amore? Dalla mia ricerca? O la decodifica?
Sto' urlando di nuovo. In modo diverso. Ma io ho sempre urlato. Ora urlo a lui. Dice che io sono cieca e io dico che lui è sordo. In fondo ci amiamo. Ma c'è un corto circuito.

"Lo sai cosa succede quando ferisci le persone? Quando le ferisci, iniziano a volerti meno bene. Ecco cosa fanno le parole sbadate. Fanno si che gli altri ti vogliano un po' meno bene". Il Dio delle piccole cose. E' l'unico Dio in cui credo.

La vita che è dentro di me urla da sempre. Da quando ero bambina. Da quando un incidente mi ha tolto l'amore di mia madre e mi ha lasciato un debito d'amore. Primordiale. E un padre che l'amore lo chiedeva a me e di un tipo che io non potevo dargli a otto anni.
Io ho cercato di comprendere la mia vita e i fatti per non esserne travolta. Non è mica facile. Potevo non urlare e sottomettermi per adeguarmi.

Io penso che nessun essere umano possa vivere senz'amore. Anzi, nessun essere vivente. Proveniamo da quello. E siamo quello. Non è un discorso religioso. Io non sono cattolica. Buddista o altro. Credo che le religioni siano contro l'amore. E creino malati che nell'imitazione di qualcosa di non vero, di non autentico, agiscano senza senso. In nome di qualcosa che non hanno interiorizzato in una verità autentica.
Da qui la violenza. Ma non sono certo io a dover dirlo. Abbiamo sotto gli occhi, anche questi giorni, malati che combattono e uccidono in nome della religione e dell' amore..
Stamane mia madre mi ha chiamata piangendo perché la mia gattina è morta. L'ho scritto anche a John.
Al lavoro piangevo e avevo gli occhi gonfi. "Che ti è successo ti è morto il gatto?". Eh si.
Fa ridere. In fondo scrivo comiche dell'amore.
Eppure questa storia è piena d'amore. Nella sua dimensione di "piccola cosa". E semplicità. Secondo me. Miu era molto anziana. Vent'anni nostri. Tradotti: cento umani. L'ho trovata che avevo diciotto anni. Rientrando a casa dal liceo. Avevo già un'altra gatta. E altri cani in giardino che arrivavano o portavo. Riempivo la casa di animali.
Li "raccattavo" come si dice a Spezia. Una disperazione per i miei, ma io mi sono sempre trovata meglio con gli animali che con gli esseri umani.
Poi non li "costringevo" a vivere come noi, ma rispettavo la loro "animalità". Per cui era un casino. Per i miei. Che invece volevano una convivenza nei limiti. Che io non avevo. Non ho. Non ho. Non una scheda per il traboccare della vita.
Lasciavo liberi anche i canarini in casa che si erano abituati a cinguettarmi sulla spalla. E a scagazzare sulle tende volando ovunque. Sembra il libro cuore, ma se gli "parli" veramente agli animali, li ami veramente per quel che sono e li rispetti, loro ti danno amore. E lo riconoscono.
E Miu ha resistito finché ha potuto. Ha cambiato i miei. Ha curato mia madre. Stamane mi ha detto che l'ha aiutata dopo il tumore. Le stava vicino sul letto, dopo l'operazione, dandole la schiena. E' il loro modo di dirti "Ci sono io a proteggerti".
L'hanno seppellita in giardino. Sotto il ciliegio. L'altra è seppellitta vicino ad un melo.
A tre anni l'avevano avvelenata e l'avevamo portata dal veterinario. "Se supera la notte, resterà cieca". Le aveva fatto delle punture. E lei si era nascosta sotto un mobile in sala. Mi ero sdraiata per terra e l'avevo vegliata così tutta la notte. Le parlavo. Le allungavo la mano e lei quando poteva mi allungava la zampina tremante. Si è ripresa. Non è rimasta cieca.
Le venne un tumore alle mammelle. Venne operata e mia madre le restò vicino. Aveva imparato ad amarla. E lei ha vinto anche quello.
Di contro odiava tutti i miei fidanzati. Pepe non poteva avvicinarsi a me. Othello l'ha graffiato. Sono gli unici due che ho "portato a casa".
Stamane ho detto "la mia Miu". E su questo senso del possesso ho riflettuto. Era mia perché l'avevo trovata io. Ma di lei mi apparteneva l'amore che riflettevo in lei e che ho imparato ad avere. E in lei avevo i miei anni. Sono tanti vent'anni.
Mia mamma non ne vuole più di animali. Dice che le faceva sentire meno la mia lontananza perché era l'ultima presenza di me che le restava e l'aiutava a superare le sue battaglie. Le dava forza per il tumore. Gli ultimi anni vivevano in simbiosi.

Othello mi sta' scrivendo messaggi belli. Anche Diego. Io m'interrogo sul diritto di chiudere il nostro cuore per una sofferenza grande. Una sofferenza grande per un essere tanto piccolo.
Se sia giusto chiudersi e non avere il coraggio o il cuore di dare nell'amore. Per crescere come esseri umani. Anche se ogni nascita e porta aperta implica una fine. E forse un senso di dolore.
Poi ci sono tutte le teorie psichiche e psicologiche. Di cui me ne fotto. Sull'amore evoluto.. L'amore per gli animali è un dato di fatto. Come l'amore per il rispetto della natura. E' sano. E basta.
E' nella condivisione e nel rispetto dell'altro. L'amore è nella natura e nel rispetto per ciò che è altro e diverso da noi. Senza pretendere che diventi ciò che ci fa comodo. Senza usarlo.
Non possiamo esimerci dall'amore.

Sono felice e grata a quel piccolo essere vivente. A lui e a tutti quelli che ho avuto, perché mi hanno insegnato ad amare in una semplicità. A comunicare con me stessa con e nella semplicità anche quando il mondo esterno era incomprensibile nella sua complessa e non detta violenza.
Adesso è vicino al ciliegio. Nel mio infantile desiderio spero torni dal suo Dio. Il Dio delle piccole cose.
 

lunedì 6 ottobre 2014

Imbecilli! Ci uccideranno mille volte! Fino ai non limiti dell'eternità!

"lo non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall'essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io del resto considero degno di ogni più scandalosa ricerca."


Pier Paolo Pasolini era un uomo libero nato in un'epoca difficile. E' morto 11 giorni prima della mia nascita. Anni di caos. Di potere e violenza. Che spesso vanno di pari passo. Ha scritto lui il pensiero con cui apro questo post.

Sono andata a vedere il film di Abel Ferrara con un mio amico. Ero curiosa di vedere come un regista che amo potesse rendere la storia, l'anima di un uomo "oltre" e libero come Pasolini.

E non mi è piaciuto. Non totalmente. Ci sono alcune immagini molto belle. C'è l'intervista in cui lui ancora denuncia il pericolo dell'essere umano. C'è la madre. Ecco, ho pianto in due momenti: alle sue parole con il giornalista e con il pianto della madre. Perché la sua dignità e umanità mi hanno colpita. Il suo contemplare e accogliere un uomo diverso, troppo diverso per quei tempi, senza pretendere di uniformarlo.

Ma tutto il resto del film, a parte l'interpretazione di Dafoe, mi ha lasciata con un senso d'incompletezza. Anche la fine e il sesso.

Sono convinta che Pasolini sia stato fatto fuori. E abbiano usato Pelosi. Ne parlavo con Fassbinder, il mio amico Gian Paolo. Che è un altro poeta. E sono felice di averlo conosciuto e che sia nella mia vita.

Parlavamo della violenza della fine di Pasolini. E mi ha detto: " Carmelo Bene diceva che Pasolini nei suoi film e nei suoi scritti metteva tutta quella violenza perché gli apparteneva". E sono d'accordo. Anch' io sono violenta.
Ogni essere umano lo è. Per natura e perché siamo portati ad esserlo.

Ma Pasolini la metteva nelle sue opere. Nella vita, io non sono mai stata violenta con l'altro. Al limite l'ho subita e l'ho fatta su me stessa.

Ma ne ho scritto. Ho scritto di violenza. La Mala è nata da questa idea. E non sono ancora riuscita a farne quello che vorrei. Ma lei è quello.
Ho solo avuto la percezione, pensando alle mie ultime relazioni di amicizia e "affettive", che nel dire la verità all'altro, non compiacendolo e non tenendolo tra cotone e pubblicità, sia stata trovata  violenta. E poi uccisa nei modi in cui si può uccidere e non trasformare una presenza ingombrante.
Per questo credo sia importante che se ne parli veramente. E credo che Pasolini facesse bene a descriverla in parole e immagini. Per provocare. E dire che esiste. Buttarla fuori in un oggetto altro da sé.

La nostra società è estremamente violenta perché immersa in un'apparente idea di libertà. Ognuno può fare quel che vuole. Senza etica alcuna. Potrei prendere un bastone e rompere la testa o l'ano di un uomo per farmi una qualche giustizia personale.
E pagherei o farei pagare? E in quella modalità di pagamento risolverei l'idea di violenza? No. E' solo un vortice. Verrei strumentalizzata per crearne altra.
E questo continuando a non avere il benché minimo senso della sacralità. Idolatrando e amando feticci. In nome di una libertà che non esiste. Non è quella la vera libertà.

Liberi non siamo. Sto' lottando da anni. Per scrivere la mia violenza. Ecco cosa. Che c'entra con quella fisica, ma che fu soprattutto psichica.

Pasolini non aveva bisogno di farsi ammazzare ad Ostia da un ragazzo di diciassette anni. E di vivere realmente una ferocia come quella. La viveva già nei suoi scritti. Ed era una violenza ancor più vera e forte di quella della strada.

Poi si, era omosessuale. E non lo nascondeva. E perché avrebbe dovuto? Era stato espulso dal partito comunista per questo. E' stato messo al rogo dal pensiero comune.
Perché il "frocio" e la "zoccola" devono esistere nel buio e nel silenzio. Se portate alla luce del giorno non stanno bene. Finirebbe il gioco di potere.

Ho pianto e piango ogni volta che penso alla sua fine. E alla perdita di un'anima come la sua. Piango perché non è stato salvato. Tutelato.

Ci sono anime che non possono essere ricondotte e valutate o misurate secondo una policy dell'orrore comune e comunista. Vanno solo tutelati.. I poeti vanno tutelati.

Dissi mesi fa a John che il mio amico Fassbinder è un poeta. Un uomo oltre. "Lui va protetto e difeso". Non lo so se leggendo questa frase Gian Paolo possa restare male, ma io ho questo sentire.  E questo senso di protezione verso la sua bellezza che non può stare in un razionalismo positivista.


Lessi da qualche parte che Pasolini era un ingenuo in un certo senso. Perché alla fine si fidava di se stesso e della militante libertà. Scriveva e diceva la verità. Era contro l'aborto. Era contro la destra e la sinistra.

Ingenuo perché non si proteggeva dalle bombe pacifiste che lanciava sull'Italia dell'epoca? Perché mai un uomo libero avrebbe dovuto difendersi da se stesso?

Lui non faceva nulla di male se non dire la verità. E chi la dice viene ucciso.

Siamo talmente abituati a non essere che abbiamo bisogno di gabbie per sopravvivere.


" In tutta la mia vita non ho mai esercitato un atto di violenza né fisica né morale.
Non perché io sia fanaticamente per la non-violenza. La quale, se è una forma di auto-costrizione ideologica, è anch'essa violenza.
Non ho mai esercitato nella mia vita alcuna violenza né fisica né morale semplicemente perché mi sono affidato alla mia natura cioè alla mia cultura".


( Pier Paolo Pasolini)

domenica 5 ottobre 2014

Non ho più pazienza

"Non ho pazienza per alcune cose, non perché sia diventata arrogante, semplicemente perché sono arrivata a un punto della mia vita, in cui non mi piace più perdere tempo con ciò che mi dispiace o ferisce.
Non ho pazienza per il cinismo, critiche eccessive e richieste di qualsiasi natura.
Ho perso la voglia di compiacere chi non mi aggrada, di amare chi non mi ama e di sorridere a chi non mi sorride.
Non dedico più un minuto a chi mente o vuole manipolare. Ho deciso di non con-vivere più con la presunzione, l’ipocrisia, la disonestà e le lodi a buon mercato. Non tollero l’erudizione selettiva e l’arroganza accademica.
Non mi adeguo più al provincialismo e ai pettegolezzi. Non sopporto conflitti e confronti.
Credo in un mondo di opposti, per questo evito le persone rigide e inflessibili.
Nell’amicizia non mi piace la mancanza di lealtà e il tradimento. Non mi accompagno con chi non sappia elogiare o incoraggiare.
I sensazionalismi mi annoiano e ho difficoltà ad accettare coloro a cui non piacciono gli animali.
Soprattutto, non ho nessuna pazienza per chi non merita la mia pazienza.”

L'ha detto Maryl Streep. Non so quando. Io l'ho letto per caso, girovagando nel web. E lo scrivo perché la stanchezza che sento questi giorni e la pietas che mi è stata chiesta non è più sostenibile per certi individui. Non più per me. Continuare a stare ferma nell'amare o nel portare avanti rapporti di pseudo-amicizia basati sul "voltafaccia" che non si assumono neanche la dignità di una responsabilità delle non-azioni, mi ha stancata.
Quindi pubblico questo discorso di una persona libera, perché ogni artista lo è in fondo, ogni vero artista lo è. E lo pubblico in un blog nato con un discorso sull'amore. Da una domanda sull'amore.
Esiste? Si. Certo che esiste, ma non ha niente a che fare con il sesso. Niente a che fare con i giochi. Niente a che fare con le commedie. Niente a che fare con l'inseguire e il tentare di dare amore a chi non è in grado di aprirsi o di comprendere, ma che urla a caso per poi scegliere vie di mezzo., sputando sullo specchio per giustificare la propria impotenza.
Amare significa saper attendere e saper affrontare nell'equilibrio. Significa avere pazienza e dare senza la pretesa di vincere sull'altro.
Significa sapere lasciare andare l'altro quando senti che non è più lì. Significa rispettare il suo desiderio.
E sparire quando è il momento di farlo.
Significa spesso non godere. Ecco. E' tutto ciò che non è godimento istantaneo. Anche se siamo abituati ad aprire una busta e si ha tutto. Tutto lì. Pronto e comodo. E quando finisce l'attrazione e ti resta il tempo, cosa fai? Getti la busta? L'amore è creatività e sta' nel fare con l'altro.
In un quotidiano lavoro fatto di attese e pazienza. E fiducia nella forza silente che ognuno di noi dovrebbe coltivare in una sana solitudine. Senza pretenderlo dagli altri. Dall'altro. Che incontriamo per procreare una forma. Una qualsiasi forma.
Se diventassi cieca. Se buttassi via tutto. Se buttassi via tutti gli ornamenti di una narrativa che riempie... se restassi sola con i miei tre atti, la mia azione scenica, i miei personaggi.. in quel nulla apparente, resterebbe la sintesi della mia anima. E l'amore con un peso specifico che non deve appigliarsi a nulla. Se non alla creatività.
L'amore vero è spesso una gran rottura di coglioni. Apparente. Perché esente da quel finto godimento di cui ci hanno riempito la testa per non essere mai e risucchiare la vera essenza.
E nessuno vuole restare solo con se stesso. O conoscersi realmente. Riempiamo e basta. Di nulla.

venerdì 26 settembre 2014

Almeno io ci ho provato! porca vacca.. Almeno io ci ho provato!

"Oddio! Un'ape! Aiuto!". Eccomi qui. Una sera di fine settembre. Con i miei calzoni alla zuava, di cotone bianco a rosine viola, una canotta e i capelli raccolti.
Eccomi qui, a piedi nudi. Perché odio le scarpe. Anche se nel mondo porto i tacchi e talvolta stivali per proteggermi da ciò che non c'è.
Eccomi qui. Così. Con una scopa in una mano e nell'altra il cellulare con FabionRhett dall'altra parte che mi parla della Mala e di come andare avanti.
"Mettimi in vivavoce che le parlo sciocchina..". L'ape si appoggia sopra lo stipite della porta che non esiste della mia cucina. Io le sto' sotto, con la scopa in mano, e le avvicino il cellulare: "Apina.. apina.. lascia stare la mia amica ricciolina che ha paura.. Su vai via..". E FabionRhett le parla. In vivavoce.

Avrei dovuto scrivere questa scena comica stamane al concorso di drammaturgia. Invece poi ho iniziato tre storie diverse. Avevo i fogli e la penna. La Paolo Grassi, pur essendo uno dei centri di Arte Drammatica più famosi d'Italia, non ha computer. Non può permetterseli.
Quindi scrivo a penna. Ci sono tre tracce. La prima è riscrivere uno dei grandi testi che erano da leggere ( Amleto, L'Ambleto di Testori, La Cavalleria Rusticana novella e versione libretto d'opera). La scarto: non riesco a riscrivere grandi testi. Mi sembra di profanare un "corpo", un'anima, una memoria di per sé così perfetta. Solo quel genio di Carmelo Bene poteva. E ha fatto con quel capolavoro che è il suo Amleto.
La seconda traccia è scrivere una storia, una situazione drammaturgica partendo da una notizia di giornale ( una fotocopia che ci distribuiscono). La scarto. Non riesco a scrivere da altri input.. "Il mio unico input sei tu Mr. D. Tu sei la mia unica Musa". Gli mando questo sms stamane in risposta al suo. Siamo riusciti a litigare di nuovo via sms. Non gli perdono più niente. Ho deciso che sarò "brutale" se servirà per riaverlo in una verità. Qualsiasi sarà il nostro rapporto futuro, deve essere onesto.

Lui mi parla di "pugnette" dove io ne sono protagonista.. E' il suo modo per farmi capire che è contento per me e che sa che andrà bene.
La terza traccia è quella che scelgo: scrivere una storia, una biografia di un personaggio e poi localizzarlo in una scena o situazione drammaturgica.
E di storie in testa ne ho tante.. pure troppe. Talmente tante che per starci dietro, le inseguo quando sono in auto, al lavoro..  E mi distraggo: sbatto e rischio di farmi male. Devo trattenerle. Vorrei avere un registratore mentale per registrarle e scolpire tutta questa umanità che esce.
Inizio più storie: " Lo strano caso di Dottor Jack e Mr. D.". Che è l'ultima storia che mi ha ispirato Diego proprio mentre vado in metro alla Grassi.
Mi dice "scVivi di me!". Lo diverte leggermi e leggere di sé attraverso me.
E inizio la storia. Mr. D. è un comunista in pensione che fallendo ogni piano di dimagrimento, s'inventa "pugnetta-gift". Istiga poi il Dottor Jack, il suo cane cinquantenne, a prendere la strada di pappone reclutando signorine Tane. Poi mi fermo sia perché spiegare l'origine delle Signorine Tane diventerebbe imbarazzante, sia perché temo che la commissione possa essere moralista e poco amante di drammaturgie surreali.
Resto sul semplice. Ne inizio un'altra: la storia di Alfie e Giulia, ma poi m'intristico. E mi fermo.
Provo con quella del mio eroe virtuale, ma anche qui mi arresto. E allora faccio la cosa più semplice e scrivo della Mala. Tanto sono lì per quello. Perché la conoscano e mi aiutino a farla crescere.
E scrivo, scrivo.. Niente è più semplie per me. In nessuna condizione mi sento più me stessa e a mio agio come tra penne, carta e la mia immaginazione.
Alzarmi la mattina, come oggi, per andare in un luogo dove mi viene chiesto di scrivere e inventare storie, è il mio senso. Sarebbe una fortuna se divenisse il mio lavoro perenne.

Poso la penna. Consegno i fogli. Concorso finito. La seconda parte sarà la settimana dopo se questa è andata bene. Ci sono libri da studiare ancora. Scene da preparare. Ma comunque sia io mi sento già felice. Già felice di avere capito chi sono e di avere capito il mio percorso fino ad oggi.
Di avere capito i miei impulsi distruttivi e la compulsività nel ripetere azioni che creavano solo una gabbia invisibile in cui mi lasciavo morire.
Ero insoddisfatta perché ero vittima del gioco perverso delle perdite e delle vincite. Ero come uno di quei giocatori incalliti che giocano per la ricchezza anche se la ricchezza non li soddisfa. E questo perché le perdite e le vincite mettono a fuoco la disparità tra le azioni del giocatore e il subconscio. In questo modo causano insoddisfazione.
La compulsione di entrare nel conflitto è un messaggio che arriva ogni giorno alla nostra anima.
Nessuno ci aiuta a percepire o ad arrivare ad una situazione di equilibrio e questo perché nell'equilibrio siamo costretti ad affrontare le basi inconsce ed imbarazzanti del nostro carattere.
Io ho incontrato l'arte. Lei mi ha dato equilibrio. Placa ogni conflitto. Ma non perché lo razionalizza, ma perché lo espone.
Rincorriamo l'idea di perfezione perché così siamo resi ignari del nostro squilibrio.
Ma in un mondo fatto di utilità, di "potere", a cosa serve l'arte?
Io ho capito che i veri artisti non se lo chiedono. Non sono spinti a creare arte, o a fare soldi, ma ad alleggerire il peso dell'ineguaglianza lacerante tra conscio e inconscio. E l'irrazionale che nasce ha il potere di dare quell'armonia che nessuna parola razionale potrebbe mai dare.
L'arte è un bisogno per me. Soprattutto ora. Soprattutto in questo momento storico di crisi e lacerazioni. Infatti l'arte scompare in tempi di prosperità, ma rinasce in tempi di lotte. Età, agiatezza, risorse attenuano il bisogno e dal bisogno nasce l'arte. Io ho bisogno dell'arte. E questo perché non mi devo più difendere dalla sensazione della mia stessa inutilità, della mia stessa impotenza.


L'impulso dell'artista bonifica un profondo squilibrio. I miei impulsi artistici non fanno altro che sanare questo profondo squilibrio che nessuna sostanza potrebbe mai sanare.
Neanche le azioni compulsive. Anzi, le azioni compulsive sono solo illusorie. Ma falliscono perché.. perché l'altro non esiste.
I nazisti hanno scelto gli ebrei come altro-cattivo. E gli ebrei hanno subito non perché fossero la causa, ma perché non la erano.
Proprio come la povera ape dell'altra sera che ha subito perché non era la causa della paura che le infondevo.
A proposito, alla fine, dopo il dialogo con Fabionrhett, l'ape è volata via. Disperata. In fuga dall'altro.


lunedì 22 settembre 2014

Lo strano caso di Mr D. e...

Il giorno in cui incontrai Mr D., anzi che mi accorsi di lui, fu ad un seminario con Paola Folli. Alla Nam. Durante il mio secondo anno professionale.
Lei è la vocal coach di X-Factor e la vocalist di Elio e Le storie Tese. Il signor D. uno degli insegnanti della mia scuola.
Era lì per accompagnarci. Era arrabbiato. Ognuno di noi doveva portare un brano e le parti musicali da dargli. Fui l'unica a portarle: quelle di Notturno di Mia Martini.
Quando "toccò" a me esibirmi davanti alla Folli, lui disse arrabbiato: "GuaVda che queste paVti sono sbagliate".
"Oddio ha pure l' "r" moscia..". E pensai anche: "Brutto rompipalle, ma se sono l'unica ad averle portate..".
Mi limitai a fulminarlo con gli occhi. E disse: "No, vabbé.. non ti pVeoccupaVe. Tanto hai poVtato anche la base".
Solo in seguito capii che era felice che nessuno avesse portato le parti perché avrebbe suonato di meno.. anzi: non avrebbe suonato affatto. Io stavo minando, con le mie parti, il suo "piano".
Cantando Notturno mi commossi. Piansi come sempre. La Folli, non ricordo bene perché, mi chiese qualcosa come: "Ma tu scrivi?". Come se fosse un significante delle mie lacrime. O una soluzione. O una ragione per trasformare quell'acqua salata in un qualcosa di più creativo.
Alla fine del canto, andai in bagno e fuori c'era Mr. D. Aveva gli occhi diversi. Un po' lucidi e mi diede una stretta sulla spalla. Vidi nei suoi occhi azzurri quella "cosa" che ho sempre amato di lui.
Due domeniche dopo, mi esibii con la scuola in un locale fuori Milano. Io cantai una bossa, " O bebado e A Equilibrista", di Elis Regina. Una canzone meravigliosa che è una parabola dell'arte e che allego qui perché chi non la conosce, la possa ascoltare.
Fu difficile per me come studio. Per la lingua, ma soprattutto per la ritmica che è sempre stato un po' il mio problema. La amai molto. Lei era un donna nata sotto il segno del "troppo". Il mio stesso segno.



Quella sera ero un po' triste. Per mia madre. Per Pepe che avevo rivisto e c'eravamo lasciati male. Cantai, triste, e sbagliai un tempo. Quando scesi dal palco incontrai Diego. Non veniva mai a queste serate di alunni. Ma quella volta venne. Sapevo di aver fatto quell'errore e me lo fece notare facendo un paragone stupido con una mia compagna di corso. Era ubriaco. Lo mollai lì.
Il lunedì dopo non andai al corso di canto. Lui faceva lezione di piano nella saletta accanto, proprio quando avevo lezione io. Scrissi alla mia insegnante che non me la sentivo più di continuare il diploma.
Lui le chiese il mio numero. Non ricordo bene come andò.. ma so che capì che lui c'entrava qualcosa, che aveva detto male.. e ci chiarimmo via sms perché io non avevo voglia di parlargli.
Due settimane dopo lui tenne un seminario sulla ritmica. Era per musicisti soprattutto, ma andai. Quando entrai mi disse: "Sono contento che sei qui".
Ricordo quel seminario in modo divertente. Faceva fare flessioni a chi sbagliava dei percorsi ritmici. Le fece fare anche a me. Alla fine della serata, andai da lui e mi scusai. Gli dissi che ero in un momento "mio", un po' ipersensibile, e che lui aveva esagerato comunque.
Quando uscimmo dalla scuola, un suo collega pianista gli disse: "Vai da una delle tue amiche?". E lui s'imbarazzò, perché dietro c'ero io. Non lo conoscevo ancora. Non sapevo ancora che solo un anno dopo mi sarei ritrovata a casa sua, entrambi mezzi nudi, a litigare alle sei di mattina urlando "Tu e tuoi tour di bulimia erotica!".
Mi viene da ridere a rileggere tutto ora.

Un mese dopo, marzo 2012, ci rivedemmo. Avevo appena finito di cantare "Voce e Notte", nella versione di Mina, alla Salumeria della Musica. Ero in sottoveste, a piedi nudi, per interpretare. Perché già volevo unire il teatro alla musica. Forse la Mala nuotava già nel mio piccolo mare creativo.
Dietro le quinte me lo sono trovato davanti. Mi guardava gonfio. Aveva lo sguardo che chiamo spermatico. Lui ride quando gli dico che guarda così. Allora mi diede pure un po' fastidio. Perché stava lì in mezzo e io mi dovevo cambiare per risalire e presentare.
C'era già del vino tra noi.


Un passo indietro. Autunno 2010. Stavo per iniziare l'ultimo anno alla compagnia Scimmie Nude. L'anno propedeutico all'Atelier e ad un probabile accesso alla compagnia come attrice. Avevo fatto in contemporanea anche un provino per canto moderno, alla Nam, per avere il diploma da cantante professionista.
Ero così cretina che mi piaceva l'idea del diploma. Fui ammessa con riserva agli ultimi due anni perché non avevo fatto i primi due, ma c'era un potenziale. Magari il "cuore". Io sono un cuore senza tecnica.

Avevo i capelli più corti. Sopra le spalle. Un caschetto riccio. Li avevo tagliati perché Othello diceva che ero più bella. Avevo trovato un compromesso per non soffrire per il mio passato ed ero riuscita a fare l'amore con un ragazzo diverso da Pepe. Il mio primo compagno.
Tutto pareva con un senso. Ma poco prima di tornare a teatro mio padre mi chiamò per dirmi che mia madre aveva un tumore. Stadio avanzato. Metastasi. In Liguria era data per spacciata. Lei non sapeva la verità fino in fondo.
Così tracciai ancora una volta una linea nera su me stessa per accendere il rosso del Pronto Soccorso. Io sono quella del Pronto Soccorso. Da me arriva chi la vita la sta' per perdere. In ogni senso. Ma poi, in genere, mi danno un calcio in culo appena li rimetto in vita. Divento scomoda. Non so perché.
Telefonate. San  Raffaele. La spalla e le braccia di Othello in cui rifugiarmi per pochi istanti e poi la vita che mi chiedeva ancora di lottare.
Teatro annullato. Lavoro in corsa e tanto ospedale. Bugie. Mio padre in lacrime e devastato come anni prima. E gli occhi di mia madre che cercavano conforto nei miei.
Il mio desiderio sotto le scarpe. Le mie Saucony che tenevo sotto il letto, pronte, per calpestare la paura. Ah, e niente analisi.
Ma.. quel provino, la musica solitaria che batteva al ritmo delle mie pulsazioni irregolari, ecco.. provai nonostante la riserva.
Un delirio: notte in ospedale, casa, doccia, riaccompagnare papà in ospedale, lavoro ( otto ore), scuola di musica e poi ancora la notte in ospedale.
Piangevo a laboratorio d'orchestra e il dolore delle frasi "Solo tre mesi di vita"; "La chemioterapia non basta" scivolavano tra gli spazi e le chiavi di basso e violino.
Teniamo duro. Aggrappiamoci a una luce. Faccio così di solito. Alla fine trovo sempre una fiammella per tirare me e chi si aggrappa ai miei polpacci. Sono una donna che vive nelle situazioni di lotta. Non in quelle di quiete.
L'operazione. Il risveglio di mia mamma. E la vita, diversa e menomata, ma sempre una nuova vita per mia madre.
La musica e il canto solitario mi diedero modo di aggrapparmi ad una speranza. Nelle note scioglievo qualcosa e conclusi il primo anno professionale come la migliore del corso di canto. Il direttore che mi ammise con riserva, disse: "Qualcuno qui dovrebbe essere contento".

E quindi eccomi al secondo anno professionale. E Mr D. . Il giorno dopo la serata della Salumeria, ero a scuola per un esamino di teoria e solfeggio. Lui faceva lezione. Come ogni lunedì. Ero seduta in reception con il libro. Venne e disse: "BVava ieVi seVa.. Hai cantato bene.. Poi avevi una mise.." e mi lanciò la sua occhiata spermatica. Feci finta di niente.
Andai a lezione di canto e la mia insegnante mi disse: "Ho saputo che sei stata molto brava ieri sera. Il maestro D. mi ha detto". E me lo disse sospettosa. Tutta la scuola sapeva che lei era innamorata di Mr D. . Da anni. E questo fu un ingrediente per la comicità dei mesi successivi.
Io avevo intravisto l'amore con e in lui, ma un'inevitabile comicità.. Diciamo che man mano che i giorni passavano, lo schema era che io scappavo e lui mi rincorreva.
Iniziò con una sera in chat in cui lui mentre mi scriveva, scivolò dalle scale che portano al suo soppalco. Io ero preoccupata e lui esordì con "PVendo un taxi e vengo da te?". Chiusi la chat.
Lo rividi a scuola prima di Pasqua con le stampelle e un piede ingessato. E mi disse qualcosa come "PeVché non Vispondi ai miei messaggi?" davanti a tutta la reception. Io ero terorrizzata che la mia insegnante sentisse. Che i miei compagni sentissero. Mi sentivo indifesa. Non so da cosa. Non amo essere al centro dell'attenzione nel reale.
Poi se ne andò ridendo con:"Sei senza cuoVe". E mi misi a ridere pure io. Perché aveva questa sensibilità disperata che mascherava con cadute, donne, alcool e "r" moscia. Ed un'ironia che stimolava la mia creatività.
Ogni lunedì da allora fino alla fine dell'anno e al diploma, Mr D. entrava nell'aula dove facevo lezione per vedermi e fare qualche battuta. Una volta fece uscire la mia insegnante con una scusa e mi chiese di andare a sentirlo alla Salumeria. Faceva Moti Ondosi. Il suo disco più bello. Che mi ha regalato e che ascolto spesso. Perché racconta del mare. Il mio mare. L'ha composto nella mia terra. Lì c'è amore. Tra quelle note.
Comunque non andai. Per.. paura. Di lui.
E così tirai fino al momento degli esami. Lui divenne sempre più un martello, tra sms e telefonate. Gli chiesi di lasciarmi tranquilla fino alla fine della scuola. M'innervosiva. Per me il percorso era importante.
La serata di chiusura che era anche una festa in cui dovevo presentare, fece di tutto per fare capire che mi poteva prendere. Arrivava dietro le quinte tentando di baciarmi. E più diventavo nervosa e facevo casino, più lui si divertiva.
Salii sul palco e sbagliai tutta la struttura di "While my guitar gently weeps"..
Tutti avevano capito. Poi mi accompagnò alla macchina. E mi baciò. Io ero stanca. Triste e felice allo stesso tempo. Triste perché non aveva rispettato i miei tempi per una smania di dimostrare o dimostrarsi. E io non ero stata capace di tenerlo lontano. E poi c'era l'ombra di mio padre ancora. Di quei ricordi. Un odore simile che mi terrorizzava. Eppure ero anche felice perché sentivo l'amore dietro tutto il casino e le strutture che lui metteva tra noi. C'era l'arte. Il mare. La mia Liguria. Lo stesso spessore.
Sapevo che sarebbe stato un casino. E così fu.

Mi diplomai con la mia insegnante che mi fece piangere all'esame con una piccola vendetta e un sorta di amarezza. I miei compagni che il giorno dell'esame dicevano nei corridoi "Ma lo sai che Annalisa sta' con il maestro...?" . Quella fu la cosa che odiai e subii di più. Anche se lui mi difese. Perché Mr D. era protettivo. Riprese alcuni ragazzi e mi difese. O difese qualcosa di me.
La scuola finì e io ero in sospeso con il mio cuore.
Mr D. a Vernazza. Io in giro per la Francia e poi in Liguria. Cercavo di fargli capire che avevo paura di lui. Che ero fragile. Che non sapevo se avrei retto tutto il casino che sentivo in lui. Non era quello il tempo. E poi mio padre. Gliene parlai.
Fu un'estate di sms e telefonate. Finché un giorno decisi d'incontrarlo a Riomaggiore per dirgli di non sentirci più. Perché avevo paura e lui doveva restare libero.
Se ne andò triste non rinunciando ad un: "Vaffanculo!".  Se ne andò senza capire la mia paura e che lo amavo.

L'estate finì. Io scrissi la Mala e continuammo a sentirci comunque. L'autunno successivo avvennero tante cose. Ma era chiaro ad entrambi che non riuscivamo a fare a meno della parola e della presenza dell'altro.
Lui mi disse che aveva iniziato a frequentare un'altra donna. La donna della banca, soprannominata da me anche Figherrima, per via di un post su facebook. Ed in questo dualismo iniziò l'inverno.
Tentammo di restare "amici" e collaborare. Mi coinvolse nella scrittura di un suo nuovo CD. Ricordo le cene a casa sua in cui per farmi felice mi presentò il paroliere di Mina. Per l'esattezza, uno degli autori di una delle canzoni che ho amato di più di Mina: "Dottore".
Per me incontrare in carne ed ossa l'autore di quelle parole, fu un grande regalo. Un uomo gentile e intelligente che lo chiamava "scemo".
Scrissi qualche canzone per Mr D., ma era tutto difficile..
Perché lui si era rifugiato in questa donna tanto lontana da me ( e da lui) per darsi una "gabbia" in cui contenersi. Ed io man mano che prendevo consapevolezza della mia anima artistica, m'innamoravo sempre di più e sentivo il bisogno di stargli vicino.
Eppure continuava a ripetermi che voleva una donna con "gli orari". Non un'artista. Non voleva più una compagna artista. Ed io ero sempre fuori.
"Tu sei in esplosione. Io no. Tu apri, io voglio chiudere la mia vita. Tu sei una donna da combattimento, io mi sento un cavallo perso..". Quando mi disse questa frase ero appena andata da lui. Alle undici di sera dopo le prove di teatro. Presi la mia borsa e me ne andai. E come nei migliori copioni, lui mi trattenne e facemmo l'amore per la prima volta. Dopo mesi.
Ma non cambiò nulla. Anzi, dentro di me peggiorò perché avevo la consapevolezza che lui era lontano da se stesso e quindi da me.
Perché aveva scelto un'altra e lì sarebbe tornato alle 20 di sera. Per una cena in orario.
Tornai a casa con la sensazione di essere appena stata attraversata da un treno. Era una cosa che avevamo evitato entrambi per non distruggerci. Ma accadde. E c'era anche quella fisicità che a me aveva sempre spaventata. C'eravamo anche lì.
Ma aveva ragione lui. Io non ero una donna da orari bancari. Non potevo garantirgli la sicurezza di una chiusura. Potevo dargli la vita e la gioia di vivere. Il coraggio di essere insieme in un qualcosa di autentico.
Ora che scrivo, ricordo un suo sms in cui mi ringraziò per averlo scosso. Per averlo fatto riamare ancora. Per la vita.
Eppure io mi sentivo sempre inadeguata. A metà. E tuttavia forte e viva con lui vicino. Felice in una comprensione che con un uomo "normale" non avrei mai potuto avere.
I due anni successivi, abbiamo giocato come un elastico. Io mi allontanavo e lui mi cercava. Lui si allontanava e io lo cercavo. C'è stato il mio debutto con La Mala con lui sempre presente. Anche nelle repliche successive. Perché anche se mi scoraggiava perché vedeva in me il riflesso di qualcosa che gli apparteneva e quindi la paura di un suo fallimento, in fondo lui amava il mio ardore.
Ci sono state le rincorse, il virus alla mia stella di mare, riprese e separazioni continue. L'altra e le altre. La nostra collaborazione per la sceneggiatura del Bosco di Mediaset. Io gli descrivevo immagini e lui suonava traducendo in note le mie parole. Non andò. Era una possibilità, ma intanto: " Ho composto forse una delle mie musiche migliori". Ha distrutto tutto dalla delusione. Ma io ho conservato. Anche se dopo aver composto con lui, mi tradiva portando a cena l'altra.
Ci sono state le mie fughe nella notte da casa sua perché doveva bere per farsi male e farne a me che altro non volevo che trasformare in amore la sua disperazione. Ci furono liti e dolore. Per me. Fino ad un giorno del 2014 in cui finalmente trovai il coraggio di chiudere e non contattarlo più. Con la morte dentro. Perché anche John un giorno mi disse: "Non puoi salvare chi non vuole essere salvato".
Ha ragione. Avevo la presunzione dell'onnipotenza. Di poterlo prendere per mano nella corsa di una vita autentica. Qualche giorno fa gli ho detto che non avrei mai dovuto intromettermi tra lui e la donna della Banca. E mi disse una cosa strana come "Al limite fu lei ad intromettersi".
Amavo la possibilità. FabionRhett mi ha sempre detto che eravamo fatti l'uno per l'altra perché io avevo quel che lui non aveva. E viceversa. Uniti dall'arte. Che per due anime come noi è più fondante di qualsiasi altro valore normale, più di un figlio, più di un tempo indeterminato.
Per questo, malgrado tutto, malgrado le nostre vite, probabilmente, prenderanno altre strade, noi resteremo. In un legame invisibile. Soprattutto ora che, togliendo, da solo, le sue dipendenze, le scuse per non vivere, togliendosi il costume di Mr D., resterà Diego.
Solo ora so e mi rendo conto che il tradimento più grande che fece a noi e a se stesso, era la rinuncia. Non le altre. Quello, in fondo, riuscivo a tollerarlo o comprenderlo.

"Avevo delle cose da scriverti. Poi non so mai dove sei tu e dove sono io. E dove sia il nostro incontro. Forse ora sono un cerchio chiuso in un percorso che mi spaventa. Ma chi mi vuole bene e sa comprendermi resterà. Avrei voluto anche te nella comprensione della vita. Non banale. Non scontata. Forse un giorno. Forse un giorno potrai volermi bene nella mia diversità. Forse nelle cose che scriverò, renderò immortale quella profondità che non sono mai riuscita a condividere con te."

E' un sms. O il prologo di una trasformazione.